Wise Society : Blue economy: cos’è e perché è decisiva per affrontare la crisi climatica

Blue economy: cos’è e perché è decisiva per affrontare la crisi climatica

di Andrea Ballocchi
12 Ottobre 2022

L’economia legata agli oceani è fondamentale per creare ricchezza e fornire occupazione. Ma va tutelata perché essa permette di affrontare al meglio i cambiamenti climatici

Quando si parla di blue economy ci si riferisce principalmente agli oceani e alla loro enorme importanza per la nostra stessa sopravvivenza. La metà delle emissioni di carbonio rilasciate nell’atmosfera dall’uso di combustibili fossili viene catturata dagli oceani, oltre che dalle foreste. Ma il loro ruolo prezioso va anche considerato a livello economico. La dipendenza dell’umanità dagli oceani riguarda ogni settore della vita: commercio e turismo, prodotti farmaceutici, ricerca, energia e altro ancora. Secondo gli scienziati autori di un articolo su Oceanography il valore di questa “economia blu” ammonta a circa 2.000 miliardi di dollari ogni anno. L’economia basata sugli oceani non è solo un presupposto fondamentale per la sostenibilità ambientale, ma è altrettanto cruciale per quella sociale ed economica. Le popolazioni costiere del mondo contribuiscono in modo significativo all’economia globale – secondo le stime, con 1500 miliardi di dollari l’anno – con aspettative che puntano al raddoppio entro il 2030, fa sapere l’ONU.

Oceano

Foto di Iswanto Arif / Unsplash

Cos’è la blue economy?

Si parla spesso di green economy, meno forse di blue economy. Entrambe sono fondamentali per la vita: l’economia verde si concentra principalmente sui settori dell’energia e dei trasporti e secondariamente sull’agricoltura e la silvicoltura. L’economia blu mira alla sostenibilità delle risorse ittiche, marine e costiere.

Ma se nel caso della green economy, essa ha una chiara identità in termini di strutture e azioni politiche e socio-economiche, nel caso della blue economy, manca un quadro di riferimento chiaro. Lo si nota già dalla mancanza di una definizione univoca. Ad esempio, secondo la World Bank, il significato di blue economy riguarda “l’uso sostenibile delle risorse oceaniche per la crescita economica, il miglioramento dei mezzi di sussistenza e l’occupazione, preservando la salute degli oceani”.

Per le Nazioni Unite, la blue economy comprende una serie di settori economici e di politiche correlate che insieme determinano la sostenibilità dell’uso delle risorse oceaniche. Il concetto stesso di economia blu cerca di promuovere la crescita economica, l’inclusione sociale e la conservazione o il miglioramento dei mezzi di sussistenza, garantendo al contempo la sostenibilità ambientale, tutti temi che fanno parte integrante dell’Agenda 2030.

Secondo, invece, la Commissione Europea, questo concetto comprende tutte le industrie e i settori legati agli oceani, ai mari e alle coste, sia che abbiano sede nell’ambiente marino – come navigazione, pesca, produzione di energia – sia sulla terraferma. In quest’ultimo caso ci si riferisce a porti, cantieri navali, acquacoltura, turismo costiero e persino la produzione di alghe. In UE l’economia blu dà lavoro diretto a quasi 4,5 milioni di persone e i settori consolidati generano circa 667,2 miliardi di euro di fatturato.

Blue economy: navi cargo nel porto

Foto di Iswanto Arif / Unsplash

Blue economy: la sostenibilità ambientale è prioritaria

Tutelare gli interessi produttivi, commerciali e industriali legati alla blue economy è strategico. Ma ancora più importante è garantire le condizioni ambientali più favorevoli per la salute degli oceani e dei loro ecosistemi. Per questo bisogna investire su politiche mirate e un sostegno finanziario mirato ad attività quali pesca e acquacoltura, ma anche al turismo, alla produzione d’energia, toccando anche ambiti altrettanto importanti quali il trasporto marittimo e le attività portuali, l’estrazione dei fondali marini e settori innovativi come le energie rinnovabili e le biotecnologie marine.

L’importanza di garantire diritti a chi lavora in questi settori e insieme difendere ecosistemi delicati è ancora più sentita se si pensa che la maggior parte dei Paesi in via di Sviluppo sono direttamente collegati alla blue economy. In essi, milioni di persone sono impiegate in tutto il mondo nella pesca e nell’allevamento ittico. La maggior parte trae buona parte delle proprie risorse e del proprio Pil anche da un altro settore collegato all’economia blu: il turismo costiero e marittimo.

L’oceano stesso, protagonista principale della blue economy, ha un enorme potenziale per stimolare la crescita economica, creare posti di lavoro e mitigare alcuni dei più gravi impatti climatici – a patto di saperlo proteggere adeguatamente. Ecco allora che occorre pensare a iniziative dedicate a difendere tutto ciò che con l’oceano è direttamente collegato e che può essere un alleato.

Oceano

Foto di Gatis Marcinkevics / Unsplash

Esempi viruosi di Blue Economy: la tutela passa dalle zone umide

Dove agire per garantire benefici ambientali e garantire la blue economy? Dalle zone umide, per esempio. Come evidenzia il World Economic Forum, esse forniscono ogni anno servizi ecologici per 47mila miliardi di dollari, in termini di difesa dalle inondazioni costiere, di sequestro della CO2 e di zone riproduttive per i pesci: esse sostengono almeno un miliardo di posti di lavoro. Sono collegate, direttamente o meno, agli oceani assicurandone benefici. Tuttavia, i cambiamenti climatici, la distruzione degli habitat e l’inquinamento da plastica – per citare solo alcuni problemi – minacciano di minare la loro integrità ecologica e di distruggere una “zona-cuscinetto” straordinariamente efficace contro alcuni dei più gravi impatti del cambiamento climatico.

Occorre attuare, quindi un modello economico rivolto alla tutela della biodiversità e alla riduzione delle emissioni. Secondo un report dell’High Level Panel for a Sustainable Ocean Economy, puntare su soluzioni climatiche e naturali basate sugli oceani potrebbe portare alla riduzione complessiva di circa 4 miliardi di tonnellate di emissioni di gas serra annue entro il 2030 e più di 11 miliardi di tonnellate entro il 2050. Per comprendere l’enorme portata della misura è lo stesso risultato che si otterrebbe, in termini di emissioni evitate, se si chiudessero tutte le centrali elettriche a carbone del mondo per un anno.

L’importanza dell’economia circolare

La stessa blue economy, se attuata con corrette politiche, contribuisce alla mitigazione dei cambiamenti climatici sviluppando fonti energetiche rinnovabili offshore, decarbonizzando il trasporto marittimo e rendendo più ecologici i porti.
Servono strategie innovative: ecco, allora, che è auspicabile una più stretta relazione tra blue economy ed economia circolare. Quest’ultima si basa su tre principi, elencati dalla Ellen McArthur Foundation: eliminare i rifiuti e l’inquinamento; far circolare prodotti e materiali, in modo da garantire il loro massimo valore; rigenerare la natura.

Come applicare l’economia circolare a tutto vantaggio dell’economia blu? In molteplici modi e aspetti. Si pensi all’eco-design, sotto forma di progettazione di attrezzi da pesca/acquacoltura biodegradabili o anche di allevamenti integrati in acquacoltura. Un’altra opportunità passa dalla riparazione e dal riutilizzo: in quest’ultimo senso, si può lavorare sull’impiego dei rifiuti della pesca e dell’acquacoltura o delle imbarcazioni a fine vita. Blue economy ed economia circolare trovano un altro punto di contatto nella volontà di riduzione delle emissioni di gas serra nei porti. A questo proposito si lavora da tempo per decarbonizzare queste aree con molteplici interventi.

Altra opportunità è fornita dall’upcycling. Per esempio, è possibile utilizzare vecchie vele e scampoli di tessuto per nuovi prodotti. Ultimo, ma non per importanza, è la finalità di riciclare. Pensando alla sua applicazione nella blue economy e a esempi pratici è possibile pensare al riciclo dei rifiuti marini raccolti durante le operazioni di pesca e dei rifiuti nei porti, come pure il riciclo di parti e di componenti delle navi non più utilizzabili.

Plasticene: discarica con tonnellate di plastica

Foto Shutterstock

Blue economy in italia: un’opportunità anche in termini di ricerca e innovazione

Il legame tra circular e blue economy è presente anche in Italia, tra le nuove aree di intervento individuate dalla Strategia Nazionale per l’Economia Circolare. Essa riconosce alcune linee di azione prioritarie quali: la raccolta e la diffusione di buone pratiche nel campo della mobilità verde e sostenibile, sviluppando progetti e attività finalizzati alla realizzazione concreta dei principi di sostenibilità ambientale, economica e sociale; la riprogettazione di prodotti e processi; la diffusione delle conoscenze sulle opportunità offerte dai carburanti innovativi e dalle trazioni alternative; la diffusione di esperienze di intermodalità ferrovia/strada/mare per favorire l’integrazione delle infrastrutture di mobilità; la valorizzazione del ruolo dell’ICT come fattore abilitante per l’innovazione e la sostenibilità.

In generale, la blue economy in Italia ha un peso specifico di notevole importanza. Il Belpaese è una delle quattro economie blu d’Europa, insieme a Germania, Francia e Spagna. È un volano economico e occupazionale di notevole valore: in Italia si contano 225mila attività imprenditoriali dedicate, che costituiscono il 3,7% delle imprese nazionali e il cui valore aggiunto generato è di circa 51 miliardi di euro. Più di 920mila persone sono occupate, costituendo il 3,7% della forza lavoro totale nazionale.

Il ruolo dell’Italia in Europa, in tema di economia blu, è forte e lo si nota anche dal fatto che a luglio il nostro Paese è stata nominata alla guida dell’iniziativa “A climate neutral, Sustainable and productive Blue Economy Parternship (SBEP)”. SBEP è uno dei 49 partenariati che la Commissione europea ha deciso di istituire nell’ambito di Horizon Europe, il 9° Programma quadro per la ricerca e l’innovazione. L’iniziativa, cui fanno parte 59 partner di 25 Paesi tra Stati membri e Paesi Associati, potrà contare su 73 milioni di euro di finanziamenti, integrati da 23 milioni della Commissione europea.

Intende allineare le priorità nazionali, regionali e comunitarie in materia di ricerca e innovazione e per riunire scienza, industria, governance e società al fine di fornire conoscenze e soluzioni per rendere sostenibili le imprese oceaniche.
Come spiega il Ministero della Università e della Ricerca, l’iniziativa “fornirà soluzioni per rafforzare la collaborazione internazionale nei settori marini e marittimi legati alle strategie dell’UE per il Green Deal e l’Europa digitale, coordinando le priorità scientifiche nazionali, regionali e europee e contribuendo allo sviluppo di quadri di governance innovativi a beneficio delle comunità costiere”.

Andrea Ballocchi

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