Wise Society : Alla COP21 gli Stati giocano la “partita” del clima

Alla COP21 gli Stati giocano la “partita” del clima

di Daniele Pernigotti
11 Dicembre 2015

Incontri e scontri per arrivare ad un accordo e salvare il negoziato. E soprattutto il pianeta

Nei negoziati dell’UNFCCC sul clima è normale vivere in uno stato di perenne incertezza ed equilibrio instabile fino alla chiusura dei lavori nella plenaria finale della COP per il clima, quando hanno regolarmente avvio le analisi su quanto il bicchiere sia mezzo pieno e mezzo vuoto. Parigi non sta facendo eccezione a questa dinamica, che rende più difficile la comprensione dall’esterno dei giochi di forza che stanno avendo luogo e dei punti chiave delle diverse posizioni in campo.

Crisi climatica: paesi sviluppati vs paesi in via di sviluppo

La prima netta distinzione è tra paesi sviluppati e in via di sviluppo, i primi principali responsabili storici delle emissioni che hanno causato il cambiamento climatico e i secondi che ne stanno invece pagando le conseguenze maggiori. Dualità facilmente comprensibile quando si mettono a confronto gli USA con il Bangladesh, le piccole isole del Pacifico o con molti paesi dell’Africa. Diventa però più sfumata e sfuggente quando i paesi in via di sviluppo sono rappresentati da economie emergenti come l’India o ancora di più la Cina. Zone grigie di transizione di chi vive le contraddizioni di entrambi i gruppi, vista la fase di rapida evoluzione che contraddistingue le due rispettive economie.

Questi paesi puntano il dito sulle responsabilità storiche dei paesi sviluppati e pretendono che i paesi sviluppati facciano di più. Ma il mondo nel frattempo è cambiato e la Cina è diventato da tempo il primo emettitore mondiale, ragione per cui i paesi ricchi pretendono che dimostri a sua volta un impegno maggiore. Ciò porta alla posizione di stallo che caratterizza il negoziato da parecchi anni.

La coalizione dei paesi africani

Parigi ha però evidenziato dei nuovi possibili equilibri. Si tratta di un’evoluzione che aveva iniziato a manifestarsi già nel 2008 a Barcellona con la creazione dell’African Group, dando così maggior peso politico ai paesi del continente, prima schiacciati all’interno del G77+Cina. Il passaggio chiave è stato però la creazione sei mesi fa dell’High Ambition Coalition, un gruppo informale a cui si era iniziato a lavorare 3-4 anni fa. Vi fanno parte più di 100 paesi tra cui, oltre a quelli africani delle piccole isole, anche Ue e USA. Restano invece fuori Cina e India, segno che probabilmente sta aumentando la pressione proprio verso queste economie emergenti.

I punti chiave della COP21

Tra i punti chiave in discussione a Parigi vi è l’obiettivo d’innalzamento massimo accettabile della temperatura che potrà essere pari a 2°C o 1,5°C (o ad una più probabile soluzione intermedia che mantenga aperte entrambe le opzioni). Ma resta anche da decidere in che modo rendere vincolante l’accordo, senza impantanarsi in un Protocollo che non avrebbe alcuna speranza di essere ratificato da un Senato americano dove è già naufragato quello di Kyoto.

Altro aspetto chiave sono i tempi e le modalità di revisione degli impegni intrapresi su base volontaria, che dovranno essere sempre più stringenti nel tempo e allinearsi verso l’obiettivo globale di riduzione delle emissioni a livello planetario. Infine resta da trovare un accordo sulla differenziazione degli impegni e, ovviamente, sul supporto finanziario necessario per supportare le azioni dei paesi in via di sviluppo. Molti punti su cui la discussione continuerà fino all’ultimo minuto attraverso continui incontri formali e informali dei ministri.

C’è bisogno di un negoziato rafforzato?

Vi è però un punto chiave che non è ufficialmente in discussione in questi giorni a Parigi, ma rischia di essere altrettanto importante per il futuro del grande circo dell’UNFCCC. A Copenaghen non si era riusciti a salvare il clima, ma si era almeno riusciti a salvare il negoziato. Difficilmente Parigi riuscirà a sua volta a salvare il clima, ma sembra certo che l’UNFCCC ne uscirà più forte. In parte perché i governi iniziano a essere più deboli in questo gioco, grazie ad una maggiore pressione interna esercitata dal basso nei diversi paesi. Sia da parte degli elettori e sia dei comuni e degli enti locali che da tempo hanno attuato politiche e azioni di riduzione delle emissioni di adattamento al cambiamento climatico.

Ma per contro, in molti iniziano a essere consapevoli che si è rovesciato il rapporto tra UNFCCC e mondo esterno. Una volta la Convenzione rappresentava un chiaro riferimento per tutti sul percorso da intraprendere per una lotta efficace al cambiamento climatico. Ora invece si ha la netta impressione che il mondo all’esterno corra molto più velocemente del negoziato internazionale, anche attraverso l’ormai pieno coinvolgimento dei principali attori economici.

Come superare l’UNFCCC: Un negoziatore esperto, a microfoni spenti, ha ribadito che si potrebbe iniziare anche ad ipotizzare l’avvio di un percorso di revisione dell’UNFCCC, per quanto la cosa potrà essere complessa. Non ha più senso, infatti, spendere due giorni con i discorsi di alto livello dei ministri che ormai interessano solo la propria cerchia interna. L’aspettativa sarebbe quella di riuscire a mettere in atto una struttura più efficace, in grado di produrre con maggiore dinamicità i risultati necessari per un’efficace contrasto al cambiamento climatico.

E forse l’accordo di Parigi potrebbe essere il primo passo in questa direzione. Altrimenti dovremmo rimanere a discutere di bicchieri mezzi pieni o mezzi vuoti.

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