Wise Society : L’agricoltura intensiva contribuisce alla deforestazione

L’agricoltura intensiva contribuisce alla deforestazione

di Fabio Di Todaro
18 Ottobre 2018

Una ricerca pubblicata su Science rileva che la sottrazione di circa il 27 per cento dei terreni «rubati» alle foreste tra il 2001 e il 2015 è avvenuta per cause riconducibili alla diffusione dell’agricoltura e dell’allevamento su larga scala

L’Indonesia, la Malesia e la Cambogia rappresentano i casi limite. Ma in realtà non sembra esserci Paese nel mondo esente dalla deforestazione. E la «colpa», se così si può dire, è soprattutto delle coltivazioni intensive. O meglio: di chi le porta avanti senza scrupoli, più interessato al proprio profitto che alla salute della terra.

deforestazione e agricoltura

Deforestazione: ogni anno vengono cancellati cinque milioni di ettari di terreno (pari alal superficie di un paese come il Costa Rica), Image by iStock

Agricoltura intensiva e deforestazione: qual è il nesso?

La volontà di «sostituire» le foreste con terreni rasati e pronti alla semina è la causa che maggiormente incide sulla perdita di alberi secolari in corso dall’inizio del nuovo secolo, in lungo e in largo per il Pianeta. Ogni anno, secondo i risultati di uno studio pubblicato sulle colonne di «Science», cancelliamo cinque milioni di ettari di terreno. Un’area vasta quanto la Costa Rica, che nell’arco di dodici mesi sacrifichiamo per appagare i nostri desideri in materia di cibo ed energia. E le aziende, nonostante i proclami più volti annunciati su scala globale, sembrano inermi al cospetto di questa fagocitosi delle foreste a opera dell’agricoltura.

Deforestazione e incendi boschivi

I ricercatori hanno utilizzato un programma informatico per associare agli incendi boschivi, attraverso le immagini satellitari, cinque diverse cause: gli incendi boschivi, la piantagione di nuovi alberi, l’urbanizzazione, l’agricoltura su piccola e larga scala. Per «addestrare» il software, Philip Curtis, un analista geospaziale che collabora con «The Sustainability Consortium»: un’organizzazione senza scopo di lucro con sede in Arkansas che, guardando soprattutto al sud-est asiatico, ha trascorso diverse settimane a fissare migliaia di immagini attraverso Google Earth che mostravano esempi di deforestazione con una causa nota.

«È stata una delle parti più angoscianti del lavoro – afferma Philip Curtis. La scala della perdita è sbalorditiva». Chiarito al software come associare a un incendio boschivo una possibile causa, i ricercatori sono arrivati a calcolare che la sottrazione di circa il 27 per cento dei terreni «rubati» alle foreste tra il 2001 e il 2015 è avvenuta per cause riconducibili alla diffusione dell’agricoltura e dell’allevamento intensivo. Tra le piante, ha trovato spazio soprattutto la palma da olio, da cui si ottiene l’ingrediente utilizzato dall’industria alimentare e cosmetica, oltre che un biocarburante col tempo riconosciuto sempre meno sostenibile per l’ambiente.

La situazione non è uguale ovunque

Oltre alla portata del fenomeno, c’è da considerare che l’impatto determinato dall’urbanizzazione è minimo (un per cento) e uguale a quello riconducibile all’agricoltura su piccola scala, che nel tempo non impedisce però alla foresta di riformarsi. La portata della deforestazione varia in base agli Stati. In Brasile, dove vaste aree della foresta amazzonica sono state abbattute per lasciare spazio agli  allevamenti di bestiame o alle colture di soia, il tasso di abbattimento degli alberi secolari s’è dimezzato tra il 2004 e il 2009: principalmente a causa dell’applicazione delle leggi ambientali e della pressione degli acquirenti della soia, costretti dal mercato a spendere di più per acquistare un prodotto realizzato in maniera sostenibile.

Ma in Malesia e in altri Paesi del Sud-Est asiatico, le leggi contro la deforestazione sono ancora oggi spesso carenti o scarsamente applicate: da qui l’aumento di foreste abbattute per piantare palme da olio. E sebbene di recente 473 aziende si siano impegnate per ridurre l’approvvigionamento di olio di palma , soltanto 155 hanno effettivamente fissato l’obiettivo «deforestazione zero» dalle loro catene di approvvigionamento entro il 2020. Troppo poco per pensare di ritrovarci su un Pianeta in salute tra meno di due anni.

Twitter @fabioditodaro

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