Il confronto una dieta onnivora e plant based non riguarda solo la salute e l’etica, ma anche il costo della spesa. Qual è il regime alimentare più costoso? In questa analisi esploreremo chi spende di più per alimentarsi e quali fattori influenzano queste differenze
Negli ultimi anni, il dibattito tra vegani e onnivori non si è limitato solo a questioni etiche e salutistiche, ma ha coinvolto anche aspetti economici, tra cui il costo della spesa alimentare. Una domanda ricorrente è se seguire una dieta vegana, basata esclusivamente su alimenti di origine vegetale, comporti una spesa maggiore o minore rispetto a una dieta onnivora, che include carne, pesce e prodotti di origine animale. Certamente la carne, specie quella rossa e lavorata, è uno degli alimenti più costosi nella dieta onnivora e il suo consumo regolare, così come quello di prodotti lattiero-caseari, può influire considerevolmente sul budget alimentare. D’altro canto, seguire una dieta vegana bilanciata richiede un’attenta pianificazione per garantire un adeguato apporto di nutrienti come proteine, ferro e vitamina B12, che possono richiedere l’acquisto di integratori o cibi fortificati, aggiungendo ulteriori costi alla spesa mensile. Ma quali sono i diversi fattori che influenzano i costi dei due tipi di dieta?
La spesa di vegani e onnivori: costi diretti e indiretti
Il confronto tra i costi delle diete onnivore e vegane è complesso e dipende da vari fattori, tra cui la geografia, la disponibilità di alimenti, le abitudini culturali e il metodo utilizzato per calcolare i costi. Sono diversi gli studi che hanno confrontato queste due tipologie di diete per capire quale sia generalmente più dispendiosa, qui proviamo ad analizzare i costi associati a entrambe le diete, tenendo conto delle diverse variabili, tentato di fornire una panoramica generale di quale dieta possa essere considerata la più dispendiosa.
Nel calcolo dei costi di entrambe le tipologie di diete, è molto importante la distinzione tra i costi diretti e quelli indiretti, fondamentale per comprendere l’impatto economico di ciascun regime alimentare. Ecco una spiegazione dettagliata di questi costi.
I costi diretti
I costi diretti sono quelli immediatamente associati all’acquisto e al consumo dei prodotti alimentari necessari per una dieta. Per quanto riguarda la dieta onnivora, carne – specie la rossa – e pesce possono rappresentare una voce di spesa molto alta a causa dei costi di allevamento, trasporto, e conservazione; latticini e uova costano di meno, ma rappresentano comunque una spesa significativa; mentre verdura e frutta, che completano la dieta onnivora, hanno prezzi variabili in base alla stagionalità e alla disponibilità locale.
Bisogna comunque considerare che gli onnivori hanno una maggiore flessibilità nella scelta degli alimenti, potendo combinare fonti proteiche animali e vegetali in base alle disponibilità stagionali e alle offerte. Questa flessibilità può aiutare a bilanciare i costi complessivi della spesa. D’altro canto, le diete onnivore spesso includono un’ampia gamma di cibi processati e pronti all’uso, che possono essere costosi e meno salutari rispetto a una dieta basata su alimenti freschi e integrali.
Per quanto riguarda invece la dieta vegana, questa si basa principalmente sul consumo di legumi e cereali, generalmente meno costosi delle proteine animali. Frutta e verdura, consumate in quantità maggiore, possono rappresentare una spesa ragguardevole, benché rimangano in linea di massima più economici di carne e pesce. Tuttavia, l’acquisto di prodotti vegani specifici o importati alza molto l’asticella dei costi: parliamo di tofu e tempeh, o dei prodotti processati come sostituti vegetali della carne, formaggi vegani e alimenti confezionati biologici, che possono aumentare significativamente la spesa. Questi prodotti sono generalmente più costosi rispetto ai loro equivalenti a base di carne e latticini.
I costi indiretti
I costi indiretti sono quelli che non si manifestano immediatamente al momento dell’acquisto ma che emergono nel lungo termine. Fanno parte di questi costi quelli che riguardano l’impatto ambientale, legati alla necessità di riparare i danni causati per esempio a livello climatico o relativi alla perdita di biodiversità, così come le spese sanitarie e sociali, come diretta conseguenza delle scelte alimentari.
Dal punto di vista ambientale, l’allevamento di bestiame è una delle principali fonti di emissioni di gas serra, consumo di acqua e deforestazione (per la creazione di pascoli o campi foraggi). Inoltre una dieta ricca di carne rossa e lavorata è generalmente associata ad un aumento del rischio di malattie croniche come malattie cardiache, diabete ed anche alcuni tipi di cancro. Le spese sanitarie per il trattamento di queste condizioni e la perdita di produttività dovuta a malattie correlate alla dieta sono considerati costi indiretti di una dieta onnivora.
Anche analizzando i costi indiretti, le diete vegane sono generalmente più economiche. Tendono ad avere un impatto ambientale significativamente inferiore rispetto a quelle onnivore – grazie al minore utilizzo di risorse come acqua e terra, e alla riduzione delle emissioni di gas serra – che si traduce in minori costi legati alla mitigazione del cambiamento climatico e alla conservazione degli ecosistemi. Ed anche per quanto riguarda i costi sanitari le diete a base vegetale sono meno dispendiose in quanto generalmente associate a un rischio inferiore di sviluppare malattie croniche.
Discorso a parte va fatto per i prodotti sostitutivi: sebbene la base della dieta vegana (legumi, cereali, frutta e verdura) sia generalmente economica, i prodotti sostitutivi come le proteine vegetali processate o i necessari integratori possono essere costosi, aumentando potenzialmente i costi indiretti se la loro produzione richiede un alto consumo di energia o l’importazione dall’estero.
Abitudini culturali e preferenze alimentari
Il costo della spesa per sostenere i due tipi di dieta dipende fortemente dal contesto geografico, dalle abitudini di consumo e dalla disponibilità di prodotti locali. Le abitudini culturali modellano in modo significativo la domanda di determinati alimenti, influenzando così i prezzi e la disponibilità di questi ultimi. Le regioni con una lunga tradizione di consumo di carne o pesce tendono ad avere prezzi più bassi per questi prodotti, grazie a economie di scala e a politiche agricole favorevoli. Parallelamente, in Paesi dove le diete vegetariane sono prevalenti, i prodotti vegetali sono più economici e diffusi.
Per esempio negli Stati Uniti e in Brasile, la carne, in particolare il manzo, è considerata un alimento di base. Questo è dovuto a una lunga tradizione di allevamento di bestiame e alla disponibilità di vasti pascoli. Nei Paesi con una forte cultura carnivora, l’allevamento di bestiame è molto sviluppato e spesso sostenuto da politiche agricole che ne incentivano la produzione. In Brasile, ad esempio, la carne è molto economica rispetto ad altre proteine, anche per via dell’ampia disponibilità di terreni agricoli dedicati all’allevamento.
In India, invece, la cultura vegetariana è profondamente radicata, influenzata dalle diverse religioni che promuovono una dieta priva di carne. Di conseguenza, la produzione e il consumo di legumi, cereali, frutta e verdura sono molto elevati, generalmente meno costosi e più facilmente disponibili rispetto alla carne. Il riso per esempio è un alimento base in gran parte del sud-est asiatico, molto economico grazie al clima tropicale che ne favorisce la coltivazione nelle risaie e costituisce una parte fondamentale della dieta quotidiana per milioni di persone.
D’altro canto, in alcuni Paesi le diete vegane possono risultare più costose a causa della minore disponibilità di alimenti vegetali variegati o della necessità di importare prodotti specifici.
Le diete sostenibili sono le meno costose
Una ricerca dell’Università di Oxford ha confrontato il costo delle diete sane e sostenibili con la dieta tipica attuale in 150 Paesi, utilizzando i prezzi alimentari dell’International Comparison Program. Lo studio, condotto dal dott. Marco Springmann e pubblicato su The lancet Planetary Health, ha rivelato che, in Paesi a medio e alto reddito, l’adozione di una dieta sana e sostenibile potrebbe ridurre la spesa alimentare fino a un terzo: l’adozione di diete vegetariane e vegane si è rivelata generalmente la più conveniente, mentre le diete a base di pesce risultano le meno accessibili.
Lo studio suggerisce che nei Paesi ad alto reddito, le politiche che incentivano diete sane e sostenibili potrebbero ridurre i costi per i consumatori, contribuendo al contempo a raggiungere gli obiettivi climatici nazionali e a ridurre le spese sanitarie pubbliche.
Nei Paesi a basso reddito, invece, secondo lo studio, mangiare in modo sano e sostenibile sarebbe fino a un quarto più economico di una tipica dieta occidentale, ma almeno un terzo più costoso rispetto alle loro diete attuali.
Ne è inoltre emerso che l’inclusione di misure come la riduzione degli sprechi alimentari e scenari di sviluppo socioeconomico favorevoli potrebbe rendere queste diete ancor più accessibili in futuro: entro il 2050, le diete sane e sostenibili potrebbero costare fino al 37% in meno rispetto alle attuali, specialmente nei Paesi a basso reddito.
Per analizzare quali opzioni potrebbero migliorare l’accessibilità e ridurre i costi della dieta, lo studio ha esaminato diverse opzioni politiche. Ha scoperto che rendere accessibili ovunque diete sane e sostenibili potrebbe essere possibile entro i prossimi 10 anni, grazie a uno sviluppo socioeconomico positivo, alla riduzione degli sprechi alimentari e all’abbassamento dei prezzi degli alimenti rispettosi del clima e della salute.
Paola Greco