Gli alimenti possono scatenare una risposta infiammatoria cronica del sistema immunitario. Ecco come affrontarla
Si sa che il cibo può scatenare una risposta infiammatoria da parte del sistema immunitario, una reazione di difesa da parte del corpo che è soprattutto un segnale che qualcosa non sta funzionando come dovrebbe. C’è però ancora molta confusione fra allergie e intolleranze, due fenomeni distinti e diversamente considerati dalla medicina ufficiale. Per fare chiarezza il naturopata Luca Avoledo, nell’ambito dell’open day Be Wise, ha dedicato il suo workshop al tema dell’alimentazione come strumento di cura per il corpo. Il titolo “Modulare la risposta immunitaria attraverso le scelte alimentari” evidenzia come nel cibo non sia solo l’origine del problema ma anche la sua soluzione.
Le allergie alimentari sono facilemente individuabili: la reazione al contatto con la sostanza incriminata è quasi immediata, ne basta una piccola dose, l’intervento delle immunoglobuline di tipo E (IgE) fa si che basti un esame a dare delle risposte chiare. «Diverso è il caso delle intolleranze alimentari dove la reazione dell’organismo è molto lenta e legata alla ripetizione dello stimolo alimentare sulle cellule intestinali per molti giorni consecutivi», precisa Luca Avoledo. «Pensiamo a un vaso che, goccia dopo goccia, si riempie fino a superare il livello di soglia. Il corpo fa la stessa cosa. Ecco perché non è così facile individuare un legame causa-effetto tra una sostanza e la reazione infiammatoria del corpo. Ecco perché una persona che ha sempre mangiato frumento, latte, prodotti fermentati o contenenti nichel può ritrovarsi con una serie di sintomi a carico di vari apparati di cui non riconosce la causa. I più comuni sono quelli a carico dell’apparato gastro-intestinale – meteorismo, diarrea, nausea, gastrite, reflusso gastroesofageo, colite, sindrome del colon irritabile – dell’apparato respiratorio – riniti, sinusiti, bronchiti, tosse per non parlare della tendenza ad avere sempre raffreddori e febbre – e poi eruzioni cutanee di ogni genere, mal di testa, stanchezza, solo per citare alcuni sintomi. Cosa c’è dietro tutto questo? Difficile dirlo con certezza. Di fronte però a un disturbo con componente infiammatoria cronica che si protrae nel tempo nonostante i farmaci, è lecito sospettare la presenza di un’intolleranza alimentare. Individuarla è un primo passo importante perché anche se l’intolleranza non è la causa del problema, la terapia alimentare può mitigare quei sintomi. E poiché le intolleanze giocano sull’effetto accumulo, la strategia non sarà quella di accanirsi con la goccia che fa traboccare il vaso ma di svuotare il vaso stesso, eliminando cioè la fonte dell’intossicazione lenta che a un certo punto porta il nostro sistema immunitario a reagire in modo inaspettato».
Come si svuota il vaso? L’idea di eliminare completamemte dalla dieta la causa che scatena la reazione del sistema immunitario è, secondo Luca Avoledo, sbagliata e pericolosa perché si toglierà al corpo qualsiasi capacità di tollerare quella sostanza. La via alternativa, valida per le intolleranze e non per le allergie e per difetti enzimatici come l’intolleranza al lattosio passa attraverso una rieducazione del corpo che ci consente di “fare la pace” con gli alimenti verso i quali siamo ipersensibili. «Poiché quando nasciamo siamo in realtà intolleranti a tutto e impariamo con il tempo a familiarizzare con le varie sostanze, nel momento in cui il nostro sistema immunitario perde la sua capacità di regolazione, è come se da adulti tornassimo al punto di partenza – spiega – Abbiamo bisogno di una sorta di secondo svezzamento che passa per una dieta variata all’interno della quale concedergli un po’ di tregua.
Quello che non sappiamo è che in realtà mangiamo sempre le stesse cose. Chi mangia biscotti alla mattina, pasta a pranzo e pizza a cena, ha mangiato tutto il giorno la stessa cosa: frumento. Chi dice di non mangiare le uova, ma va matto per la torta della nonna in realtà le mangia. Chi non mangia formaggi ma tutti i giorni si fa macchiare il caffè sottopone il suo sistema immunitario a uno stimolo ripetuto». Che fare quindi? Si può procedere con una graduale e progressiva introduzione nella dieta degli alimenti non tollerati: un giorno nel week end e un giorno a metà settimana di libertà alimentare mentre nel resto dei giorni ci si asterrà dal mangiarli. Se la risposta è soddisfacente, si può espandere ulteriormente l’assunzione nel giro di altri 2-3 mesi fino ad arrivare a un’alimentazione che preveda almeno un giorno di restrizione alla settimana, una giornata dove è consigliabile mangiare cibi iposensibilizzanti (riso, pollo, pesce, legumi, tè verde). In questo modo in un periodo che va dai 6 ai 18 mesi si arriva a tollerare di nuovo tutte le sostanze alimentari commestibili.