Salone del Gusto e Terra Madre tornano nel capoluogo piemontese (25-29 ottobre 2012) in un unico evento. Per ribadire che agricoltura e alimentazione responsabili sono sempre più settori chiave. Anche per uscire dalla crisi
«Non si è mai parlato così tanto di cibo, sui giornali, in Tv, nell’editoria come ai nostri giorni, con la comunità agricola in una situazione disperata, le piccole aziende che chiudono una dopo l’altra e i giovani che abbandonano le terre perché non hanno incentivi. Eccola qui la schizofrenia del nostro tempo». Va subito al sodo e svela un paradosso che sta sotto gli occhi di tutti Carlo Petrini, presidente di Slow Food e della fondazione Terra Madre per parlare del nuovo appuntamento, a impatto zero, che torna anche quest’anno a Torino (25-29 ottobre 2012, info e programma www.slowfood.it) e per spiegare il titolo dell’edizione 2012 Cibi che cambiano il mondo.
Già perché mentre grandi chef e conduttori tv si alternano ai fornelli, consigliando ricette per ogni occasione e tutti scrivono libri sull’arte di mangiare e stare a tavola, i contadini delle Langhe piemontesi vengono pagati per un quintale di grano meno che 1982, le grandi corporation mondiali stanno assumendo il controllo sul futuro dei semi, minacciando sicurezza e libertà alimentare e secondo stime FAO è già andato perduto il 75 percento delle varietà di colture agrarie nel mondo.
«Il problema vero è che negli ultimi cinquant’anni nei Paesi come i nostri, occidentali, dove non si soffre più la fame, il cibo ha perso valore e si è imposta l’idea che il cibo sia merce: infatti non si parla più del suo valore, ma solo del suo prezzo», continua Petrini, «e siamo al punto che nel mondo si consuma di più producendo di meno. Secondo dati dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, oggi si producono alimenti per 12 miliardi di persone, ma noi siamo solo 7 miliardi eppure quasi un miliardo di persone soffre la fame: significa che il 45 per cento del cibo prodotto va sprecato.
Non solo. Ogni cittadino europeo consuma in media 300 gr. di carne al giorno per un totale di 110 kg l’anno, (mentre sarebbero sufficienti e salutari 500 gr. la settimana) con enormi danni alla biodiversità animale, all’ambiente e alla nostra salute. Possiamo andare avanti così?»
Serve una diversa politica del cibo
Ecco allora che una diversa politica del cibo è assolutamente fondamentale per costruire nuovi percorsi, cambiare il senso dei territori e delle comunità. Per riflettere, parlarne, discutere e trovare le strade giuste quest’anno per la prima volta Salone del Gusto e Terra Madre sono un evento unico (organizzato insieme a Slow Food da Regione Piemonte e Città di Torino in collaborazione con Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali) con i cinque continenti riuniti nell’Oval, il grande padiglione dove incontrare i produttori delle comunità del cibo e dei Presidi, i cuochi della rete di Terra Madre e le comunità indigene di oltre 100 Paesi, fianco a fianco all’insegna della solidarietà tra Nord e Sud del mondo.
«Non dimentichiamoci che il famoso “Made in Italy”, di cui tutti si vantano non è più garantito dagli italiani, ma dagli stranieri che vivono e lavorano in questo Paese: la mozzarella è garantita dagli indiani che mungono le mucche nelle aziende agricole, il barolo dai macedoni che tagliano l’uva nelle vigne del Nord, la fontina della Valle D’Aosta dai polacchi e dai rumeni che fanno gli operai nelle aziende locali, ma anche dai lavoratori africani che raccolgono i pomodori in Calabria e in Campania», continua Petrini. Ecco come il cibo può cambiare il mondo, creando percorsi di civiltà e integrazione sui quali dobbiamo sempre più puntare….altro che respingimenti».
Centro e fulcro del Salone è proprio il grande orto africano di 400 mq che rappresenta i 25 Paesi coinvolti nel progetto dei Mille orti in Africa avviato e sostenuto da Slow Food in questi ultimi anni. Per ricordare che nel Continente dove si muore ancora di fame, e dove già 60 milioni di ettari di terre sono state sottratte agli africani con l’odioso sistema del land grabbing l’unica via di salvezza è quella della sovranità alimentare e del cibo prodotto localmente.
Agricoltura e tutela del territorio
Ma il ruolo dei prodotti tradizionali è fondamentale anche nelle aree di conflitto, come dimostra la cola (un frutto tipico utilizzato anche nella farmacopea) della comunità di Kenema in Sierra Leone, nuovo Presidio internazionale, dove un gruppo di 48 produttori è tornato a coltivare questi alberi abbandonati dagli agricoltori di un tempo costretti a scappare o uccisi durante la guerra civile.
Non solo. Siccome la biodiversità è minacciata ovunque e anche in Italia ecco i nuovi Presidi tra i 200 complessivi (dalla “pecora con gli occhiali” dell’Alto Adige al carciofo spinoso di Menfi, in Sicilia) eccellenze alimentari del nostro paese che Slow Food tutela da quindici anni, sostenendo i produttori che praticano la sostenibilità e un approccio etico al mercato.
Ma Cibi che cambiano il mondo è anche un mostra che racconta con immagini e percorsi il modello economico e sociale delle comunità di Terra Madre, arrivata a Torino dopo essere stata in molti altri paesi della UE che in parte l’ha finanziata.
«A tutti quelli che si chiedono cosa fare per uscire dalla crisi», aggiunge il presidente di Slow Food «io dico che bisogna continuare a portare avanti la responsabilità del cibo senza perderne il gusto e la passione, ma contemporaneamente ridurre lo spreco, riaffermare le economie locali e il rispetto della terra, fare educazione alimentare ma soprattutto garantire il ritorno alla terra dei giovani», continua Petrini.
Dal cibo possono nascere anche nuovi mestieri: artigiani, coltivatori, distributori e più attenzione ai contadini significa anche difendere l’ambiente, perché nessuno più degli agricoltori ha un ruolo di primo piano nel presidio e nella tutela dei territori.
Conclude Petrini: «il cibo sta diventando sempre di più un settore chiave dove sperimentare nuove idee per uscire da una crisi entropica di enorme portata. E sarebbe l’ora che anche la politica e i governi se ne accorgessero».