Wise Society : Quanta acqua mangiamo ogni giorno? A lezione di “Water footprint”

Quanta acqua mangiamo ogni giorno? A lezione di “Water footprint”

di Mariella Caruso
2 Dicembre 2013
SPECIALE : La guida per conoscere l’acqua

Per una porzione di verdure servono 32 litri di acqua, 40 per una fetta di pane, 169 per una porzione di pasta e ben 1550 litri per una fetta di carne. Intanto le risorse idriche del pianeta si impoveriscono.

L’acqua è un bene prezioso, una risorsa insostituibile per la sopravvivenza dell’uomo e del nostro pianeta. Quanta acqua ognuno di noi consuma al giorno? Siamo proprio sicuri di poter dare una risposta precisa a questa domanda? La risposta è no. Perché la maggior parte dell’acqua consumata giornalmente da ogni essere umano non è quella utilizzata per dissetarci o per l’igiene personale, ma quella che “mangiamo” attraverso il cibo. Nel gergo di chi si occupa giornalmente di questo problema si chiama “Water footprint” ed è la misura del volume d’acqua utilizzato nella catena alimentare, dalla produzione allo smaltimento dei rifiuti. Solo per fare qualche esempio: per la produzione di una porzione di verdure servono 32 litri di acqua, 40 sono quelli che necessitano per una fetta di pane, 169 occorrono per una porzione di pasta e ben 1550 litri per una fetta di carne.

Impronta idrica degli alimenti, water footprint

Acqua e filiera alimentare: il concetto di water footprint

«L’acqua è la parte costituente della filiera alimentare, il 90% di questa è gestita dagli agricoltori. Non esiste, però, un sistema contabile che calcoli il valore dell’acqua contenuto nel cibo. Per questo servirebbe un controllo dell’acqua da parte degli agricoltori con la FAO che potrebbe farsi “attore” nei confronti di questi ultimi perché sarà loro il compito di salvare il mondo a patto che la società adotti comportamenti consapevoli – ha spiegato Tony Allan, studioso del ruolo ricoperto dai sistemi globali ai fini del miglioramento dei deficit idrici e regionale e alla guida di un gruppo di ricerca sulle acque al King’s College di Londra, in un panel dedicato al 5° Forum Internazionale su cibo e nutrizione (BCFN) organizzato alla Bocconi di Milano da Barilla -. Come? Instaurando dei meccanismi virtuosi e lavorando sulla filiera che dal mondo agricolo fa arrivare il prodotto sulla nostra tavola».

Agricoltura sostenibile in Italia 

«Il tema dell’agricoltura sostenibile è molto sentito da Coldiretti, insieme alla cultura del limite che riguarda acqua, suolo e cibo»,  ha sottolineato Roberto Moncalvo, presidente di Coldiretti, una delle più grandi associazioni di agricoltori italiani. «Bisogna, però, rimarcare che l’agricoltura non consuma acqua, ma la utilizza e la gestisce garantendo anche un presidio per il rischio idrogeologico attraverso, per esempio, la gestione dei canali, la generazione di energia attraverso il mini idroelettrico». Per garantire uno sviluppo sostenibile, però, «bisogna ridare il giusto valore al cibo che non deve essere considerato una commodity, evitare l’uso indiscriminato dalla chimica e cercare di contrastare a livello globale i fenomeni di “land grabbing” e “water grabbing”».

L’acqua è parte di un’economia mondiale

Land grabbing e water grabbing, ovvero l’accaparramento di terreni e risorse idriche da parte dei Paesi in via di sviluppo, intersecano le economie dei diversi continenti. Tra questi anche l’Africa dove «negli ultimi anni le guerre per l’acqua si sono raddoppiate», come ha fatto notare Edward Mukiibi, agricoltore ugandese nonché fondatore e ad del progetto Developing Innovations in School and Community Coltivation (DISCC). «In Africa c’è in atto un attacco settore agricolo per imporre sistemi di coltivazione e allevamento che non ci appartengono e non sono sostenibili – ha spiegato -. L’importazione di sementi e di capi come le vacche frisone che richiedono molta acqua per l’allevamento sono incompatibili col nostro territorio e fanno morire l’agricoltura locale che, al contrario, ha bisogno di piccoli progetti per le nostre comunità».

Necessario un approccio integrato nei confronti di acqua, clima e cibo

Image by © Philip Harvey/Corbis«Bisogna mettere fine all’idea di gestire e governare l’acqua e cambiare le regole del gioco ai fini di un approccio integrato nei confronti di acqua, clima e alimenti per elaborare e far decollare un’azione forte sul cambiamento climatico che ha per avversario il tempo», ha sottolineato Barbara Buchner, direttrice del Climate Policy Initiative Europe, sottolineando che «i privati devono essere messi a conoscenza delle politiche nazionali dei quali devono essere attori» e auspicando «interventi internazionali congiunti». Della necessità di «azioni condivise» si è fatto portavoce anche Karl Schebesta, a capo dell’Unità per lo sviluppo dell’agribusiness dell’Unido, organizzazione delle Nazioni Unite per lo sviluppo industriale. «Non deve esserci separazione tra industria e agricoltura. Servono collaborazioni con il mondo accademico per tradurre in azioni concrete la mole di documenti prodotti sui cambiamenti climatici per aumentare la produttività delle risorse a partire da quella idriche nell’interesse di agricoltori, ambiente e consumatori».

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