Wise Society : Olio di palma sostenibile? Noi continuiamo a consigliare prudenza

Olio di palma sostenibile? Noi continuiamo a consigliare prudenza

di Fabio Di Todaro
14 Giugno 2016

A seguito del nostro ultimo articolo, l'Unione Italiana per l'Olio di Palma Sostenibile ci ha scritto. E noi ribadiamo il nostro punto di vista e rinnoviamo i consigli per un consumo "Wise" dell'ingrediente.

Non accenna a placarsi il dibattito sulla sicurezza dell’olio di palma, tema a cui nei mesi scorsi Wise Society ha dedicato un ampio speciale. Dopo la pubblicazione del parere da parte dell’Istituto Superiore di Sanità e a seguito del parere dell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (Efsa) che ha definito «genotossiche» e «cancerogene» alcune sostanze che si formano durante la raffinazione degli oli vegetali, l’Unione Italiana per l’Olio di Palma Sostenibile è voluta intervenire nel dibattito. A dare lo spunto all’intervento un recente articolo pubblicato su queste colonne, in cui «compaiono alcune informazioni non corrette», a detta della neonata associazione che, è bene sottolinearlo, è costituita da  multinazionali che utilizzano l’olio di palma nei loro alimenti e da alcune associazioni di categoria di Confindustria.

IL PROBLEMA RIMANE L’ECCESSO DI GRASSI SATURI NELLA DIETA – Secondo l’associazione, «non è vero che assistiamo a un’invasione di olio di palma e che negli ultimi anni se ne consuma attraverso gli alimenti quattro volte di più». L’indicazione quantitativa, in realtà, non compare nel nostro articolo. Di certo c’è che, secondo i dati ufficiali, gli italiani ingeriscono in media dodici grammi di olio di palma al giorno: principalmente attraverso il consumo di prodotti da forno, dolci e salati. Una quota eccessiva, che contribuisce in maniera rilevante a innalzare i consumi di grassi saturi oltre i limiti giornalieri raccomandati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità: pari a non più del dieci per cento dell’introito energetico quotidiano, quota che risulta di gran lunga superata nei bambini. Su questo piano, dunque, c’è poco da discutere. Detto ciò, comunque, l’Unione Italiana per l’Olio di Palma Sostenibile tiene a far sapere che «i volumi complessivi di olio di palma importato in Italia sono effettivamente aumentati, ma le quantità utilizzate dall’industria alimentare hanno registrato una crescita media inferiore al due per cento annuo».  Conviene rispolverare ancora una volta i numeri. Nel 2005 l’olio di palma importato nel nostro Paese e destinato a uso alimentare ammontava a circa 325mila tonnellate, che oggi sono diventate 386mila. Motivo per cui, anche se il dato ricade interamente sull’aspetto salutistico, lascia parecchie perplessità in merito alla sostenibilità ambientale di una simile produzione.

LE AZIENDE RIBADISCONO LA LORO INCONSAPEVOLEZZA – «Non è vero che le aziende sapevano già dal 2004 che la presenza di questi contaminanti era pericolosa per la salute dei consumatori». L’Unione Italiana per l’Olio di Palma Sostenibile non ci sta e respinge le accuse lanciate da Dario Dongo, avvocato esperto di sicurezza alimentare, promotore della petizione lanciata con «Il Fatto Alimentare» e fondatore del portale Great Italian Food Trade. «Al contrario in questi ultimi dieci anni le aziende avevano ricevuto rassicurazioni sull’assenza di effetti tossici dell’olio di palma, da parte della comunità scientifica e delle autorità sanitarie – fa sapere l’associazione -. I risultati di una precedente analisi pubblicata dall’Efsa nel 2013, valutando l’esposizione al 3-monocloropropandiolo da parte dei cittadini europei, aveva fornito un quadro che non dava motivo di allarme. I livelli riscontrati nel nostro Paese, diversamente da molte altre nazioni europee, erano ampiamente al di sotto del limite allora considerato sicuro e comunque coerenti con l’attuale limite suggerito dall’Efsa all’Unione Europea». Quanto alla cancerogenicità di alcuni composti che si sviluppano nel corso dei processi di raffinazione, nessuna obiezione a quanto messo nero su bianco dall’Efsa, pur precisando che «l’eventuale presenza di contaminanti da glicerolo negli oli vegetali raffinati dipende da come l’olio è stato lavorato, non dal fatto che si tratti di olio di palma o di olio di semi o altro tipo di olio». Sta di fatto che l’esposizione al palma è più elevata ed è così che si spiega la crescente, seppur tardiva, attenzione nei suoi confronti. Ma le aziende che lo utilizzano preferiscono rimarcare quanto detto sul tema dall’Istituto Superiore di Sanità: «Attualmente non risultano disponibili studi prospettici specificamente disegnati a definire la possibile associazione tra consumo di olio di palma e insorgenza di cancro nell’uomo». Tutto vero, ma l’affermazione non è altro che un estratto di un dossier ben più ampio da cui comunque emerge un invito alla cautela nei consumi dell’ingrediente, visto l’elevato apporto di grassi saturi.  Ecco spiegato perché, di fronte a uno scenario in continua evoluzione, Wise Society continuerà a fare riferimento al principio di precauzione e a suggerire prudenza nei consumi di prodotti contenenti olio di palma.

Twitter @fabioditodaro

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