Secondo Marco Vighi, docente di ecotossicologia all’Università di Milano-Bicocca, sono bassissimi gli effetti delle microplastiche sugli organismi viventi
L’accumulo di microplastiche nell’ambiente – cioè di rifiuti di dimensioni inferiori a cinque millimetri – è una catastrofe per gli ecosistemi tutti. La produzione attuale è stimata in oltre 300 milioni di tonnellate l’anno, di cui una gran parte è rappresentata da imballaggi e prodotti monouso. Quello che invece è meno noto è l’impatto che queste microplastiche hanno sulla nostra salute, nel momento in cui ci veniamo quotidianamente a contatto. Difficile dare risposte sicure, al momento. «Non siamo in grado di definire un rischio perché non abbiamo idea delle concentrazioni nell’ambiente e non siamo ancora in grado di misurarle», ha affermato Marco Vighi, docente di ecotossicologia all’Università di Milano-Bicocca, aprendo i lavori del congresso nazionale della Società Italiana di Tossicologia, con una lettura magistrale dal titolo: «Micro e nanoplastiche: origine, esposizione e rischio per l’ambiente e per l’uomo».
Microplastiche e salute: che cosa sappiamo?
Al momento non siamo in grado di dire se queste microplastiche abbiano la capacità di entrare nelle cellule e determinare un rischio tossicologico. Il primo passo consisterà nello sviluppare adeguati metodi di analisi, a oggi ancora a livello sperimentale. Solo così sarà possibile misurare le concentrazioni, cioè la quantità presente in un dato volume di ambiente, di nanoplastiche e poi capire se queste particelle di plastica possono entrare nelle cellule e danneggiarle.
Il 99% delle microplastiche che ritroviamo nell’ambiente è determinato da plastiche secondarie, che si ottengono cioè dalla frammentazione di rifiuti, fibre provenienti da lavaggi in lavatrice e frammenti di pneumatici. Mentre meno dell’1% è costituito dalle microplastiche cosiddette primarie, quelle cioè prodotte intenzionalmente dall’uomo come i componenti di alcuni cosmetici.
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Secondo Vighi, al momento, «alle concentrazioni realistiche dal punto di vista ambientale, gli effetti per la salute sono assolutamente trascurabili. Per osservare un effetto dovremmo salire di 2-3 ordini di grandezza, quindi avere concentrazioni 100 o 1000 volte superiori agli attuali livelli ambientali».
Gli effetti delle microplastiche sugli esseri viventi
La parziale rassicurazione giunge dai risultati del progetto Europeo «IMPASSE» (Impacts of MicroPlastics in AgroSystems and Stream Environments), durante il quale sono stati misurati la presenza di microplastiche e i possibili effetti sugli organismi viventi presenti negli agroecosistemi e nelle acque superficiali.
Come prevedibile, è stata confermata la presenza di microplastiche nei diversi comparti ambientali che compongono il ciclo. Tuttavia, in nessuno degli organismi acquatici e terrestri saggiati è stato osservato alcun effetto negativo, né a breve né a lungo termine, neppure con esposizioni assolutamente irrealistiche: fino a mille volte superiori ai più alti livelli misurati nell’ambiente.
Secondo Vighi, «ogni giorno consumiamo cibi contenuti in plastiche e con i loro additivi, ingeriamo frammenti di microplastiche e li eliminiamo con le feci, senza per questo correre rischi particolari. Malgrado l’aumento della concentrazione di microplastiche nell’ambiente, le previsioni per il futuro sono rassicuranti: «Secondo i modelli che cercano di prevedere l’evoluzione delle microplastiche nel tempo, il trend fino al 2100 mostra che le concentrazioni di questi frammenti, che misurano da cinque millimetri a un milionesimo di metro, pur essendo in crescita, rimarranno comunque sotto i livelli di guardia», conclude l’esperto.
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