A preoccupare sono le contraffazioni e i traffici illegali di alimenti gestiti dalla criminalità organizzata il cui giro d'affari secondo Eurispes e Coldiretti è di 15 miliardi.
Molto fa la crisi, che costringe le famiglie a risparmiare su tutto: meno che sul cibo. Un dato che conferma l’attenzione degli Italiani verso un’alimentazione di qualità ma che testimonia come questo settore convogli vari interessi. Anche quelli della criminalità organizzata attratta anche dall’imminente apertura dell’esposizione universale di Milano e imperniata su alimentazione, agricoltura e salute.
Ecco perché i numeri diffusi nel terzo rapporto sulle agromafie – elaborato da Eurispes e Coldiretti -, relativo al 2014, non devono stupire oltremodo. Un giro d’affari superiore a 15 miliardi di euro, profitti in crescita del 10% rispetto all’anno precedente, “contaminazioni” estese nel tessuto economico delle aree del Centro e del Nord Italia: la nuova mammella da mungere è quella dell’agroalimentare.
Così, in controtendenza rispetto alla recessione dell’economia italiana, vola il business delle contraffazioni a tavola. Non vi sono zone “franche”. Se indubbia appare la radicazione del malaffare nelle regioni meridionali, certo appare pure il tragitto compiuto dai profitti illeciti ricavati dalla terra, dirottati verso le realtà – del Nord Italia o estere – dov’è più facile renderne anonima la presenza, infettando intere fasce di economia. Capitali sani mescolati a guadagni facili. L’incremento dell’economia illecita – sottolineano i redattori del rapporto – è stato determinato da diversi fattori. I cambiamenti climatici, tra questi, sono al primo posto. L’influenza sulle produzioni ha impedito una piena soddisfazione della domanda e aperto le porte a fenomeni di falsificazione e sfruttamento illegale di alcune eccellenze della produzione enogastronomica italiana. Ma la sua parte l’ha giocata anche la crisi economica, che ha avuto come conseguenza la chiusura di molte aziende e il ricorso al credito attraverso operatori “non autorizzati”. A farne la spese sono state innanzitutto le aziende che, a giusta ragione, fanno del Made in Italy uno dei loro “plus”.
Il tema è stato sollevato nel corso della giornata “Le idee di Expo”, antipa sto dellarassegna in programma a Milano dall’1 maggio al 31 ottobre. Prima, guardando il rovescio della medaglia, si era parlato soltanto di appalti truccati, tangenti e ritardi. Ma l’Italia, per dirla con le parole dell’ex procuratore capo di Torino Giancarlo Caselli, da un anno direttore dell’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura voluto da Coldiretti, «è sotto tiro da parte di organizzazioni criminali che, tra le altre attività, generano profitti anche dai traffici illegali di alimenti». Un’emergenza che compare anche dalla lettura del rapporto: «Attraverso sofisticati meccanismi di alterazione, sofisticazione e contraffazione, sono commercializzati come prodotti italiani, senza esserlo, alimenti e bevande per un valore che potrebbe superare i sessanta miliardi». Da qui il monito del magistrato: «Il comparto alimentare offre crescenti opportunità di guadagno. Mangiare si deve, nonostante la crisi. Anzi: sono proprio le difficoltà economiche a spingere i cittadini a risparmiare, senza che si accorgano che questo atteggiamento spesso comporta il ricorso ad alimenti di qualità inferiore. Oltre che, ipotesi per nulla da escludere, provento di attività illecite».
Le mafie, in realtà, hanno messo la coppola in testa al settore agroalimentare già da qualche anno. La conferma viene dalle diverse inchieste giudiziarie che hanno portato a conoscenza questo nuove filone di affari. Limoni sudamericani commercializzati come agrumi della penisola sorrentina, arance nordafricane che si trasformano in spremute siciliane, mozzarelle italiane prodotte con cagliate dell’Europa dell’est, frumento canadese che diventa la materia prima per il pane di Altamura. C’è poi il capitolo dedicato all’olio, con materia prima proveniente da Tunisia, Marocco, Grecia e Spagna che finisce nelle bottiglie di extravergine d’oliva. Infine l’italian sounding, ovvero la riproposizione sui mercati esteri di prodotti italiani che hanno caratteristiche diverse rispetto agli originali: da qui l’inganno ai consumatori.
A irrobustire questo giro d’affari contribuisce anche l’e-commerce. L’agroalimentare, infatti, è la seconda voce di spesa degli italiani online. In vendita su internet si trovano il kit per il vino liofilizzato “Fai da te” con false etichette dei migliori prodotti Made in Italy e quelli per ottenere diversi formaggi adulterati: dal Parmigiano Reggiano al Pecorino Romano, dalla mozzarella all’asiago. A Expo si chiede anche di trovare una soluzione a queste vicende, senza mettere la testa sotto la sabbia.
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