Una ricerca dell’Istituto Superiore di Sanità svela come se ne consumi di più nelle aree più povere del Paese. Con ripercussioni per la salute note e non trascurabili
Questione di gusti, ma pure di benessere e livello di istruzione. La differenza del consumo di sale nelle Regioni italiane è attribuibile alle diseguaglianze di ordine socioeconomico tra le diverse aree geografiche del nostro Paese. È quanto emerge da uno studio pubblicato sul British Journal of Medicine dal quale si rileva che l’impiego è maggiore nelle regioni del Sud in confronto a quelle settentrionali e centrali. Il Mezzogiorno, dunque, ha problemi anche a tavola: ecco una nuova sfaccettatura della questione meridionale.
COSA EMERGE DALLA RICERCA? – Lo studio ha valutato il consumo alimentare di sodio e di potassio in un campione nazionale di popolazione generale adulta, costituito da 3857 uomini e donne, di età compresa fra 39 e 79 anni, selezionati a caso in venti regioni nell’ambito di un’indagine nazionale su un più vasto campione condotta tra il 2008 ed il 2012 dall’Osservatorio Epidemiologico Cardiovascolare dell’Istituto Superiore di Sanità. L’assunzione di sodio e di potassio – più crescono i consumi di sale, più questi si riducono: come conseguenza di un minor ricorso a frutta e verdura – è stata stimata attraverso la misurazione dell’escrezione dei due elettroliti nelle urine delle ventiquattro ore. I valori sono stati posti in relazione allo status socio-economico, in termini di livello di istruzione e di condizione occupazionale. I risultati hanno mostrato l’esistenza di un significativo gradiente nord-sud di escrezione di sodio. I partecipanti residenti nelle regioni del Sud Italia – in particolare Calabria, Basilicata, Puglia e Sicilia – presentavano un consumo di sale stimato in media oltre gli 11 grammi al giorno, superiore a quello della maggior parte delle regioni del Nord e Centro Italia.
SE IL DISAGIO ECONOMICO SI TRASFERISCE A TAVOLA – Ma non solo. Lo studio, condotto dai ricercatori dell’Istituto Superiore di Sanità, ha evidenziato che le persone occupate in lavori manuali presentano un consumo di sale maggiore rispetto a coloro che sono impegnati in ruoli amministrativi e manageriali. Così pure avviene in relazione al grado di istruzione, per coloro che hanno conseguito soltanto il diploma di scuola primaria rispetto ai possessori di un diploma di scuola secondaria o di un titolo universitario. Differenze che risultano indipendenti dall’età, dal sesso e da altri fattori confondenti. Il cloruro di sodio è la principale fonte di sodio per l’uomo e un eccessivo introito è correlato a ripercussioni note ormai da tempo, a carico degli apparati cardio e cerebrovascolare. Che in Italia si tendesse a eccedere non è cosa nuova, mentre colpiscono le differenze relative ai diversi territori dello Stivale. Segno che al Sud, pur mangiando spendendo meno, spesso si mettono a tavola alimenti di peggiore qualità. Altro che dieta mediterranea, come d’altronde dimostrato dai consumi – in calo – di frutta e verdura.
GLI OBIETTIVI PER TUTELARE LA SALUTE PUBBLICA – L’impiego di sale – di vario tipo – in Italia è in media circa il doppio e quello di potassio largamente inferiore rispetto alle raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che punta a ridurne l’impiego in cucina anche per porre un freno all’epidemia di malattie croniche non trasmissibili in corso: dal diabete all’ipertensione, fino alla sindrome metabolica che è la sintesi dei comportamenti errati adottati a tavola.
Twitter @fabioditodaro