Wise Society : La maratona del deserto che aiuta i profughi Saharawi

La maratona del deserto che aiuta i profughi Saharawi

di Michele Novaga
22 Febbraio 2012

È in programma il 27 febbraio in Algeria l'edizione 2012 della Saharamarathon, dura gara sportiva di solidarietà, unica al mondo. Quest'anno anche 40 atleti italiani a fianco del "popolo dimenticato"

Non ci sono ricchi sponsor né partecipanti in cerca di gloria. E quella che si corre qui non è una maratona come molte altre che si svolgono sotto le luci delle telecamere o dei flash dei fotografi. La Sahara Marathon (www.saharamarathon.org), quest’anno alla 12esima edizione, si corre per solidarietà e per richiamare l’attenzione internazionale su una questione che sembra dimenticata: quella del popolo Saharawi.

Una competizione sportiva in condizioni difficili

 

Oltre 42 chilometri di un percorso che si snoda in uno scenario unico e in condizioni climatiche proibitive: i campi profughi di El Aioun, Auserd e Smara vicino a Tindouf in Algeria. Qui da oltre 35 anni, 200 mila  persone vivono nelle tendopoli dopo essere state cacciate dalla loro terra, il Sahara Occidentale, ora occupato illegalmente dal Marocco. I circa 200 stranieri che partecipano alla gara giungeranno in questo angolo di deserto con un volo charter proveniente da Madrid due giorni prima della corsa, prevista il 27 febbraio. Quaranta gli atleti italiani che oltre a gareggiare, proveranno a vivere, anche se solo per una settimana, da profughi come i Saharawi, dormendo nelle loro tende e mangiando il loro stesso cibo. Per partecipare basta iscriversi ed essere dotati di buone gambe e fiato, spirito di adattamento e voglia di solidarietà. «Organizziamo quest’evento per sensibilizzare l’opinione pubblica internazionale sulla questione Saharawi», racconta Mattia Durli, uno dei volontari italiani che insieme a quelli spagnoli organizzano l’evento. E con una parte della quota di partecipazione degli atleti, riusciamo a dar vita a progetti di cooperazione destinati ai Saharawi. Progetti che coinvolgono sempre realtà sportive: in particolare in questa edizione valuteremo l’esito del progetto finanziato l’anno scorso, cioè la formazione di gruppi di atletica nei centri sportivi/ricreativi che abbiamo costruito negli anni passati. Dall’investimento sul “mattone” siamo passati a investire sulle persone, cioè pagando stipendi a allenatori e organizzatori per mantenere vivo un gruppo di atletica, comprando il materiale necessario, il cibo per il dopo allenamento. Il risultato dovrebbe culminare con una partecipazione più equilibrata e preparata dei giovani saharawi, ragazzi e ragazze, alle prossime maratone», conclude Durli. Degli altri progetti, quelli che portano l’acqua, costruiscono gli ospedali e le scuole, mettono in piedi serre per la produzione di ortaggi in pieno deserto, si occupano da anni tante associazioni (alcune anche italiane ma ce ne sono tante spagnole, americane e del Nord Europa) riunite in una rete di coordinamento.

La storia di centinaia di famiglie costrette all’esilio

 

Una competizione dura, quindi, come le condizioni in cui vivono i Saharawi che, con grande spirito di popolo, sono riusciti a costruire una società in esilio mantenendone usi, costumi e tradizioni. Dal 1975: da quando, alla morte di Franco, la Spagna abbandona il Sahara Occidentale, un territorio di 250 mila chilometri quadrati, grande poco meno dell’Italia senza aver avviato quel processo di autodeterminazione e decolonizzazione più volte richiamato dall’Onu con numerose risoluzioni. In quella terra vi abitano circa un milione di Saharawi, un popolo di nomadi, pastori e pescatori, che non conosce la guerra. Marocco e Mauritania approfittano della situazione e cercano di prendere il controllo della regione occupando il paese con i loro eserciti. A far gola sono le coste atlantiche (le più pescose dell’Africa sulle quali il Sahara Occidentale si affaccia), i pozzi di greggio e le più ricche miniere di fosfati del pianeta. La resistenza degli indigeni è improvvisata ma tiene duro fino al 1984, quando un muro di 2.700 chilometri, costruito dai marocchini, viene eretto per dividere in due lo Stato. In 200 mila fuggono a Tindouf, nel vicino Sahara algerino, dove tuttora vivono in diversi campi profughi. Gli altri restano nella terra occupata, con il divieto di espatrio. Intere famiglie vengono divise per sempre. E sull’hammada di Tindouf, il deserto in pietra dove fa troppo caldo per viverci d’estate e troppo freddo per starci d’inverno, un popolo comincia a ricostruire dal nulla i fondamenti della vita. Con ospedali, scuole, addirittura un enorme orto costruiti grazie agli aiuti internazionali, unica fonte di sostentamento. Nel 1991, il conflitto si sposta su un terreno diplomatico e le Nazioni Unite danno vita ad una missione internazionale (Minurso) con l’obiettivo di svolgere un referendum di autodeterminazione non ancora celebrato. A nulla, per il momento, sono valse le molte risoluzioni approvate dall’assemblea generale dell’ONU (come la la risoluzione A/C.4/59/L.4 del 10 dicembre 2004) che sanciscono il legittimo diritto del popolo Saharawi all’autodeterminazione.

Un territorio lontano dagli interessi dell’Occidente

 

Una questione dimenticata dai media e avvallata dal silenzio dell’Occidente e dell’Italia in particolare. «La questione irrisolta del popolo Saharawi non emerge per due ragioni: le Nazioni che dettano le priorità dell’agenda internazionale, tra cui Stati Uniti e Francia, non sono interessati al problema. In più, sono tanti e tali le emergenze mondiali che il problema del Sahara Occidentale passa in seconda linea e raramente guadagna la prima pagina dei giornali». commenta Francesco Bastagli, diplomatico ex inviato delle Nazioni Unite nel Sahara Occidentale. Che conclude: «Esistono grandi responsabilità europee allineate sulle posizioni marocchine che escludono l’indipendenza». Posizione non lontana da quella dell’attuale mediatore Onu ed ex diplomatico Usa di lungo corso Christopher Ross che in una recente intervista ha riconosciuto che “l’assenza di una crisi imminente priva questo conflitto dell’attenzione della comunità internazionale, ma la violazione dei diritti umani è sempre più grave”. Questioni più grandi di loro che ai bambini di Smara e Dakhla (fra i cinque accampamenti Saharawi, forse quello nel quale le condizioni di vita sono ancora più difficili che negli altri) non interessano molto ancora. Sorridono e corrono spensierati mentre si allenano, scalzi, per l’evento dell’anno: la mini maratona pensando che quest’anno la corsa porterà nei loro campi anche un gruppo di giocolieri e clown.

 

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