Wise Society : Il paesaggista Casasco: «Il premio al “Bosco verticale”? Poco azzeccato»

Il paesaggista Casasco: «Il premio al “Bosco verticale”? Poco azzeccato»

di Mariella Caruso
30 Settembre 2015

Il paesaggista non condivide l'assegnazione del riconoscimento e lancia l'allarme ambientale sul consumo di sabbia

«Se c’è un concetto che non comprendo è quello di “architetto del giardino” perché un architetto progetta qualcosa che deve essere sempre uguale nel tempo, mentre le piante sono materia viva». Lo dice senza presunzione Ermanno Casasco, di professione paesaggista ma che ama autodefinirsi “giardiniere”. «La prospettiva dell’architetto è diversa da quella del giardiniere. Noi paesaggisti guardiamo in alto, la nostra prospettiva è il cielo», sottolinea Casasco che vanta realizzazioni in tutto il mondo: dagli Stati Uniti ai Caraibi, dall’Australia alla Russia, dal Medio Oriente al Nord Africa.

COS’È IL GIARDINO – «Oggi le esigenze moderne della costruzione lasciano poco spazio alla crescita del verde. Le radici di un giardino cittadino, per esempio, non hanno spazio per espandersi: nel sottosuolo ci sono metropolitana, servizi, parcheggi. Quindi è obbligatorio cambiare il mondo di pensarlo», sottolinea l’autore del volume “Di un giardiniere errante” (edizioni Maestri di giardino, 10 euro), pubblicato un anno fa e già diventato un cult, lanciando un allarme ambientale. «Le esigenze moderne della costruzione distruggono tutto, poi il paesaggio deve essere ricostruito. Ma così facendo l’industria del cemento consuma grandi quantitativi di sabbia che, dopo l’acqua, è l’elemento più consumato. E dei problemi del suo consumo non se ne parla abbastanza».

CHI È CASASCO – In attività dal 1979, Casasco è uno dei pionieri del paesaggismo moderno in Italia. «Quando arrivai negli Stati Uniti per frequentare un corso di specializzazione mi regalarono un libro The landscape of man di Geoffrey e Susan Jellicoe, poi lessi Gardens are for people di Thomas Church: sono state queste letture a introdurmi in un mondo nuovo – racconta -. Capii in quel momento che il giardino è qualcosa in continua evoluzione e non deve essere riservato soltanto a un’elite e che il giardino può anche essere “classico”, ma è sempre in continua evoluzione. Quando sono tornato da quel periodo di studi negli Stati Uniti il mio problema era dimenticare quello che avevo imparato a scuola, perché coincideva a una perdita dell’istinto. Le regole di base e la conoscenza degli alberi sono da ricordare, tutto il resto è meglio dimenticarlo».

COME PROGETTARE UN GIARDINO – La domanda di fondo è come riuscire ad accontentare chi desidera un giardino inadatto al luogo dove essere realizzato? «Come professionista il mio compito è soddisfare le richieste del committente realizzando i sogni che non sa tradurre in realtà – osserva -. Però la prima cosa che chiedo al mio cliente è: “Dove sei nato?”. Questo perché il senso del giardino è diverso a secondo del luogo in cui si é cresciuti, e spesso il giardino tende a realizzare i ricordi d’infanzia. Però è mio compito, per esempio, consigliare chi mi chiede di sistemare un sempreverde davanti a un’abitazione perché la temperatura della casa si abbasserebbe di 5 gradi sia in estate, sia in inverno». E allora? «La prima cosa che faccio è visualizzare nella mente come quel giardino dovrebbe essere a partire dalle peculiarità del luogo e dai desideri del committenti. Un po’ come facevo da bambino per immaginare luoghi che non conoscevo descritti nei libri. Poi, quando ho chiara la mia visione, non mi interessa la fatica che devo metterci per realizzarlo». Ma c’è qualcosa che è ancora più importante. «Ogni giardiniere paesaggista o architetto del verde deve sapere che le radici delle piante vanno dove vogliono».

«GLI ALBERI HANNO LE RADICI» – È questo il concetto principe di Casasco. Un’ovvietà che, però, spiega il paesaggista emiliano, milanese d’adozione, non tutti mostrano di comprendere. Men che meno i grandi architetti. «Non sempre i premi assegnati sono azzeccati. A me, per esempio, alzare gli occhi verso il “bosco verticale” di piazza Aulenti mi fa un po’ impressione perché le radici degli alberi vanno dove vogliono e chissà – si chiede – dove si troveranno fra una decina d’anni». «Il giardino – conclude – non è quello sognato o disegnato con il rendering come fanno oggi gli architetti. È quello che si riesce a far crescere con la manutenzione e il tempo. Per me la dizione “architetto del giardino” è qualcosa di stonato, perché il giardino non è architettura, la pianta si muove, si modifica di anno in anno, è qualcosa di vivo che cresce».

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