Wise Society : Richard O’ Barry: l’uomo che parlava ai delfini
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Richard O’ Barry: l’uomo che parlava ai delfini

di Sebastiano Guanziroli
16 Settembre 2010

Addestrava Flipper, delfino protagonista di una fortunata serie americana degli anni Sessanta. Un giorno Kathy, delfino che interpretava Flipper, si inabissa e smette di respirare. Un "suicidio". Che spinge Richard ad abbandonare questo lavoro. Per dedicare il resto della vita a proteggere questi intelligenti mammiferi. La sua storia ha vinto un Oscar grazie a The Cove, un documentario che rivela una storia terribile. Che si ripete ogni anno in una baia del Giappone...

A colpirti subito sono gli occhi, inumiditi da un velo liquido, chissà se per la commozione e il rimorso che non gli danno tregua, o se per la vita trascorsa interamente dentro l’acqua. Gli occhi di Richard O’Barry guardano in camera e ti fanno sentire la sofferenza che lo accompagna da trentotto anni, una sofferenza che però lo spinge anche a combattere ogni giorno, da trentotto anni, per rimediare alla sua colpa. La sua storia è raccontata in “The Cove”, straordinario documentario vincitore del premio Oscar 2010, appena pubblicato in dvd da Feltrinelli Real Cinema.

 

Richard O’Barry ha dedicato tutta la vita ai delfini, ma la sua è una vita divisa a metà. Negli anni ’60, quando lavorava per il Miami Seaquarium, li catturava e addestrava. Non era un addestratore come tanti: O’Barry era l’addestratore di Flipper, il delfino che per tante stagioni fu protagonista di una serie che incollò al video gli americani e fece nascere il business dei delfinari, perché tutti volevano vedere i delfini dal vivo. Diventato velocemente famoso e ricchissimo, O’Barry non sembrava curarsi molto dei risvolti etici del suo lavoro. La casa dove viveva era il set del telefilm, e tutto il giorno era a contatto con Flipper, o meglio con i cinque delfini-attori che si alternavano nel ruolo. Un giorno Kathy, il delfino femmina che interpretava Flipper per la maggior parte del tempo, si inabissò davanti ai suoi occhi e smise di respirare. Suicidio è la parola usata da O’Barry per raccontarlo: i delfini possono smettere volontariamente di respirare, e questo era ciò che aveva fatto l’animale che gli era stato affidato. Quando Kathy ha smesso di respirare è iniziata la nuova vita del suo addestratore, la comprensione che catturare animali intelligenti e costringerli a eseguire sciocchi giochi per gli uomini è sbagliato e immorale.

 

Richard O’Barry, attivistaDa quel momento O’Barry si è dedicato alla salvezza e alla protezione dei delfini in tutti i modi possibili, e con un’urgenza ingigantita dalla colpa di essere stato egli stesso uno degli ingranaggi fondamentali che avevano messo in moto un’industria fondata sulla sofferenza. I delfini sono mammiferi dotati di un’intelligenza straordinaria, animali sociali che hanno bisogno di stare in gruppo, animali che in libertà percorrono decine di miglia tutti i giorni: costringerli dentro minuscole vasche solitarie è negare l’essenza stessa della loro natura. Questo era successo a Kathy, e O’Barry promise che avrebbe lottato perché non succedesse più.

 

Nel 1970, durante la prima edizione della “Giornata della Terra”, fondò il “Dolphin Project”, con l’obiettivo di impedire la cattura di delfini in libertà, liberarne il più possibile dalla cattività e soprattutto far capire alla gente comune che dietro i suoni che emettono e i giochi che apparentemente esprimono felicità, si nascondono dolore e sofferenza. Un progetto quasi impossibile, combattuto da una persona sola contro un’industria multimilionaria. Da allora O’Barry è diventato il nemico pubblico numero uno, e non sono bastati numerosi arresti e perfino l’omicidio di un’amica volontaria a fermarlo.

The Cove: la Baia dove Muoiono i Delfini/Current TV

La battaglia più importante però era una, quella che O’Barry aveva sempre perso: in Giappone, ogni anno, in una baia protetta e tenuta nascosta, flotte di pescatori catturano migliaia di delfini da mandare nei delfinari. Quelli scartati vengono massacrati in una vera e propria mattanza per essere destinati al mercato alimentare tradizionale giapponese. Nessuno, in Giappone e all’estero, nemmeno le associazioni ambientaliste, parla di questa storia, perché nessuno è mai riuscito a documentare visivamente il massacro, e perché il solo mostrarla potrebbe mettere fine a un mercato milionario (un solo delfino vale 800.000 dollari). Nemmeno O’Barry era mai riuscito, fino al giorno in cui ha incontrato il regista e fotografo naturalista Louie Psihoyos: “The Cove” racconta come sono riusciti, insieme, a mostrare al mondo le immagini insostenibili del crimine ecologico che sta dietro ai colori, alla musica e ai sorrisi dei delfinari. Essere riusciti a raccontarlo è già una grandissima vittoria, ottenuta con la collaborazione e la passione di una squadra di attivisti, filmmaker, sub professionisti e l’utilizzo delle più moderne tecnologie, fondamentali per catturare le immagini e i suoni che vanno dritti al cuore degli spettatori.

Louie and Charles in Taiji Blind

Se raccontare è già una vittoria, ora i realizzatori aspettano anche i risultati concreti. Alcuni già si intravedono: la carne di delfino è stata tolta dai menu delle scuole (anche perché contaminata dal mercurio) e “The Cove” è stato proiettato per la prima volta in alcune sale giapponesi dopo mesi di boicottaggio. Nell’ultima scena del film Richard O’Barry è immobile al centro della piazza più caotica di Tokyo, con addosso un monitor che mostra le immagini del massacro. Lo indossa come una gogna che gli ricorda la sua “colpa”. Centinaia di persone passano vicino senza guardare, senza fermarsi. Poi qualcuno si  ferma, guarda e pian piano si forma un gruppetto. C’è ancora speranza…
Vedi il trailer cliccando sul link seguente:

 

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