Wise Society : Limitare le disfunzioni della politica con l’autogoverno dei cittadini
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Limitare le disfunzioni della politica con l’autogoverno dei cittadini

di Lia del Fabro
6 Aprile 2012

Lo storico inglese Paul Ginsborg, che da molti anni vive in Toscana, non ha dubbi: per diventare un Paese davvero civile è indispensabile abbattere le disuguaglianze, difendere i beni comuni e ridistribuire le ricchezze

Paul GinsborgCome si misura la civiltà di una nazione? Secondo Paul Ginsborg, uno dei più importanti storici contemporanei, è la situazione in cui si trova la parte femminile della società a misurarne il livello di progresso. È il punto di partenza dell’analisi del professor Ginsborg, profondo conoscitore delle vicende italiane, di origine inglese ma che da molti anni ha scelto di vivere nel nostro paese, perché – come lui stesso dichiara – è qui che ha investito la parte migliore di se stesso. L’Italia, per lo storico inglese rappresenta il paese dei sogni, dei viaggi, della cultura. Questa passione ha fatto di lui una voce attiva e autorevole nel dibattito su come salvare il nostro Paese, sostenendo valori che vanno a recuperare il senso della collettività e la difesa dei beni comuni da amministrare con l’arma vincente della mitezza.

Affrontare la disparità tra uomini e donne

 

Professor Ginsborg come vede l’Italia di oggi?

Monumento a Vittorio Alfieri di Antonio Canova,  Firenze, Santa CroceRispondo facendo un esempio concreto. C’è un’opera del Canova, la scultura che rappresenta l’Italia piangente all’interno di Santa Croce a Firenze che è una raffigurazione particolare della donna: è una nobile, è vestita, è dignitosa.  Le donne italiane di oggi che la televisione ci propone sono in netto contrasto con questa immagine: sono svestiste, sono veline, sono diventate un oggetto da scrutare con la telecamera. Il livello della civiltà di una nazione passa attraverso il modo in cui le donne si presentano e sono presentate.  Nel passato della Repubblica italiana vi è la storia di molte cose positive ma le trasformazioni sociali che ci sono state negli ultimi decenni (prima tra tutte il superamento della povertà), sono state lentissime per le donne. Attraverso il potere e i modi anche seduttivi e ricattatori degli uomini, i rapporti tra i sessi si sono modificati solo in parte. Abbiamo donne sempre più brave, qualificate, che si laureano di più e in modo migliore rispetto ai loro coetanei maschi, ma tutto ciò non si traduce in un’uguaglianza nella società e nel mercato del lavoro. Quella di Canova è un’immagine bella, nobile, egualitaria dell’Italia che però non si è realizzata, mentre si è imposta – non sempre, ma molto spesso, un’immagine degradante, passiva della parte femminile della società.

La disuguaglianza tra uomo e donna va cambiata con interventi di carattere politico oppure a livello sociale?

Credo che si debbano fare tutte e due le cose. Da una recente indagine dell’Istat sul tempo dedicato ai lavori domestici, emerge che le ore sono molte di più per le donne rispetto agli uomini i quali, tra l’altro, vogliono svolgere solo alcune specifiche mansioni e stanno con i figli in media quarantacinque minuti al giorno. Alla fine, è meglio non avere marito perché per le donne questo significa due ore di lavoro in più al giorno. Ci vogliono strumenti di carattere culturale, devono cambiare i valori della famiglia, perché la parità passa attraverso il lavoro ma anche l’atteggiamento sociale. Nei paesi del nord Europa, in Svezia per esempio, la politica ha favorito cambiamenti culturali. Sarebbe bello se la politica italiana e anche la Chiesa, perché no, prendessero iniziative in tal senso, ma dubito molto che ciò possa avvenire.

Il grave problema dei giovani senza prospettive

 

Oltre a questa quali pensa siano le disuguaglianze più difficili da sopportare e da risolvere per il nostro Paese?

Image by Peet Simard/CorbisUna disuguaglianza direi tragica è quella che vivono i giovani di oggi rispetto alle prospettive delle generazioni precedenti. Questo è vero per tutti, e per i giovani laureati in particolare ai quali si chiedono tanti sforzi per poi non dare nessuna speranza di lavoro. Nell’università dove insegno, non si parla più di sostituire chi, come me, un giorno andrà in pensione. È un esempio del declino della scuola, dove gli insegnanti che continuano a lavorare in mezzo a molte difficoltà sono i veri eroi di oggi. La generazione dei miei figli, per realizzare i propri sogni deve andar via, deve partire. L’altra disuguaglianza pesante è quella della distribuzione del reddito: in Italia il 10 per cento della popolazione detiene il 50 per cento della ricchezza. E questo abisso, che pone l’Italia ai primi posti nella classifica mondiale dei Paesi dove le disparità di reddito sono forti, cresce sempre più. Sarebbe bello investire tutta questa ricchezza nella scuola, nelle università, nel lavoro e non nei conti in Svizzera.

La necessità di investire sui nostri punti di forza

 

Che cosa possiamo fare per salvare L’Italia da questa crisi, anche morale?

Italy Palermo - Creative Commons by gnuckxDovremmo praticare delle rotture rispetto a pratiche che sono state valide in passato. È necessaria una rivoluzione culturale. Ritengo l’Italia il paese più bello del mondo, ma noi italiani facciamo di tutto per distruggere questa eredità. Ci vuole un controllo più forte su quelle che sono le eccellenze della nazione, non solo in termini paesaggistici, ma a livello anche di cultura e di arte.

C’è un modo per realizzare questo cambiamento?

Solo se ci riappropriamo di un maggior senso di autogoverno e se pensiamo di prendere il destino nelle nostre mani, che è quello che diceva anche Cattaneo durante il Risorgimento. Quest’idea dell’autogoverno significa un migliore controllo sull’ambiente, sulle regole del costruire, e fa sì che i cittadini diventino più informati, più istruiti, più attivi e anche un po’ più scettici verso i politici.  Con questo non voglio entrare nel sistema delle politiche attuali. Quello invece di cui sono convinto è che bisogna inventare forme nuove del processo decisionale. Altrimenti si rimane nell’attuale situazione in cui i cittadini votano e poi si lamentano di come la politica non funzioni. Dobbiamo contrapporre un’idea di circolo virtuoso secondo cui, a livello locale e in certi importanti momenti decisionali, sia possibile entrare a far parte dello spazio pubblico con la pratica di una democrazia diversa da quella rappresentativa di oggi.

Pensa a qualche cosa di concreto?

Questa rivoluzione culturale, a cui penso, dovrebbe creare ampi strati di cittadini che si facciano promotori di una richiesta di partecipazione alla pratica dell’autogoverno. Riunioni di base nelle quali vagliare proposte di governo locale, in cui si voti e in cui si possano fare le opportune verifiche su quello che i politici hanno realizzato. Le difficoltà alla messa in pratica di questo progetto sono collegate alle esigenze del potere. Che con difficoltà ne cede anche solo un pezzettino, e così la forma di partecipazione se oggi è praticata si rivela fasulla, una finzione, in cui si lascia che il cittadino esprima tante belle idee che non trovano un seguito operativo. L’idea è invece di educare i cittadini perché siano loro a formare i politici.

Da che cosa può partire il riscatto per l’Italia?

Un grande filosofo della politica, Norberto Bobbio, negli anni ’90 scrisse L’elogio della mitezza, presentata come una virtù sociale. Il mite è colui che con pacatezza dissente e propone un’altra via rispetto a quella di chi gestisce il potere.  È una visione alta e utopica della forza della mitezza.  Anch’io penso che la mitezza, praticata insieme alla fermezza, sia un modo molto fruttuoso di guardare la realtà.  È un invito a non seguire quello che ci trasmette la televisione e i suoi talk show dove tutti sono impazienti di contrastare l’altro che parla, come è capitato anche a me. Questa mancanza di regole, come anche la non parità della donna, esprime la volontà di sopraffare l’altro. Bisogna al contrario lavorare su altri codici di comportamento come esempi di virtù sociale.  L’Italia ha nella sua storia elementi ed episodi forti di mitezza, come la religione, o certi insegnamenti della Chiesa, o quando la mitezza del popolo italiano è venuta alla superficie nella seconda guerra mondiale, nel momento in cui ci si è resi conto che non era il caso di continuare a uccidere in nome di Mussolini. L’Italia si può qualificare nel mondo non solo per il cibo, la bellezza e la cultura ma per un sistema di valori che esprime personalità della Chiesa e della società civile che potrebbero lavorare insieme. E gli esempi esistono. Perché non possiamo riprendere figure come don Milani per costruire un nuovo sistema sociale che parta dalla base e si proponga poi a livello nazionale?

Più regole e nuove forme di partecipazione collettiva

 

Quali sono i nuovi codici di comportamento ai quali pensa?

Italy, foto di Dennis Jarvis/flickrQuello che io intendo è una società in cui la cittadinanza crei una nuova stagione collettiva, di tipo pacifico, per riscrivere – quasi in un nuovo Risorgimento senza armi – le regole politiche, sociali, culturali del paese ma solo con la legge, l’istruzione, la religione o, meglio, tutte le religioni. Una nuova epopea collettiva, con una reinvenzione dei valori potrebbe essere straordinaria per sostituire al clientelismo diffuso e alla chiusura di ciascuno all’interno della propria famiglia, i nuovi valori, primi tra tutti quelli che fanno riferimento ai beni collettivi, alle azioni comuni, alla mitezza appunto. Esiste oggi una minoranza che può trasformarsi in maggioranza. Non credo che quest’idea sia lontana dalla realtà.

I valori europei, che sembrano così in crisi, possono aiutarci?

Sono un convinto europeista e credo che l’Italia lo sia stata e continui a esserlo tuttora. Ci vuole però un passo nuovo anche per l’Europa. La sua storia è sempre stata difficile, fatta non sempre di successi, ma spesso di crisi che però finora sono sempre servite per realizzare una maggiore integrazione. La grande difficoltà di questo momento deriva dal fatto che l’Europa non è una struttura democratica, il Parlamento è un soggetto politico debole. Bisognerebbe quindi accordare più potere al governo europeo rafforzandolo, e introdurre più fortemente l’idea di integrazione democratica con un’azione coraggiosa che dia anche un senso più popolare all’idea di Europa attraverso la valorizzazione di temi pubblici come i beni comuni, l’acqua, il paesaggio, il territorio, la cultura. E senza pensare sempre all’austerità, ma anche a politiche di crescita attraverso l’indebitamento. Credo che la partita sia ancora aperta e che l’Italia possa svolgere un ruolo importante.

Pensando alle generazioni più giovani, ha dei suggerimenti da dare a loro perché mettano in moto il cambiamento culturale di cui parla?

Credo che i più giovani, quelli che vanno ancora scuola, potrebbero iniziare dal lavoro di gruppo, che potrebbe essere un collettivo o la redazione di un giornale scolastico, per cercare informazioni sui punti che ritengono siano importanti per il loro futuro e quindi per individuare subito dopo proposte e richieste attraverso un movimento che agisca prima a livello locale e poi regionale e nazionale. I passaggi obbligati sono questi, detti in sintesi: studiare, imparare, criticare e poi anche contestare. Perché è inutile contestare se prima non si studia, non si impara, non ci informa su cosa accade nel mondo. Anche se sono sempre importanti anche il divertimento e l’ironia, perché l’irriverenza, insieme allo studio, è una delle cose più belle da mettere in pratica.

 

 

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