Wise Society : Maria Enrica Quirico: non forzate i bambini a mangiare. Devono imparare a regolarsi da soli
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Maria Enrica Quirico: non forzate i bambini a mangiare. Devono imparare a regolarsi da soli

di Francesca Tozzi
6 Settembre 2011

Per evitare, da adulti, intolleranze, allergie e disturbi più gravi la pediatra e omeopata lombarda suggerisce di permettere ai piccoli di sperimentare molto e trovare i propri tempi anche in rapporto al cibo

Maria Enrica QuiricoNei primi cinque anni di vita, a proposito di alimentazione, una persona si gioca tutto: cosa mangia e come, le preferenze e il comportamento durante il pasto. Oltre all’apprendimento del linguaggio avviene infatti la memorizzazione alimentare e l’acquisizione di gusti e disgusti. Per saperne di più ne abbiamo parlato con la Maria Enrica Quirico, specializzata in Pediatria e Omeopata, esperta in  fitoterapia e floriterapia infantile.

«Questa è la fase più importante se si vuole che il proprio figlio abbia da adulto un rapporto sereno con il cibo», spiega, «perchè è in questo periodo della vita che si gettano le basi. E attraverso la giusta alimentazione è possibile ridurre il rischio che si sviluppino in futuro allergie o intolleranze alimentari».

 

Come si riduce questo rischio?

È sufficiente variare molto la dieta facendovi rientrare tutti i nutrienti perché se si assecondano i capricci di un bambino che vuole mangiare solo pasta in bianco, per esempio, o solo carboidrati di un certo tipo c’è la possibilità che il suo organismo si saturi di quei carboidrati sviluppando in futuro maggiore sensibilità verso le sostanze in essi contenute. Lo stesso vale per i dolci, per il latte, per le uova, per tutti gli alimenti che vengono dati in dosi eccessive e costanti. Oltre tutto una dieta monotona non aiuta a formare il gusto. Allo stesso modo bisogna evitare di investire il momento del pasto di un’importanza esagerata: chi ha sofferto la fame come i nostri nonni dà al cibo un valore di risarcimento, mentre per le generazioni successive è un momento vissuto con fretta e ansia, che a lungo termine possono far male.

 

Image by © Morgan David de Lossy/CorbisPerchè e con quali conseguenze?

Per esempio un bambino costretto a mangiare anche quando non ne ha voglia rischia di soffrire da adolescente di anoressia o di sviluppare un rapporto difficile con il cibo: accade quando l’assunzione degli alimenti non risponde a una reale esigenza del corpo, che  in genere si regola da solo, ma alle preoccupazioni e ansie dei genitori per cui il figlio non mangia mai abbastanza, non mangia bene, è troppo magro… ricordo il caso di una paziente che già dai primi mesi dopo lo svezzamento cacciava in bocca al figlio la pappa e dato che all’asilo non mangiava lo portava a casa e gli preparava pasti che lui rifiutava. L’ansia dell’adulto si riflette sul bambino che è come uno specchio. Le forzature si traducono in rifiuto del cibo e cominciano quando il bambino è ancora attaccato al seno e la madre magari lo stimola troppo alla poppata.

E non va bene?

Anche da neonati l’alimentazione deve avvenire in modo naturale. Come pediatra omeopata non considero solo la quantità e qualità delle poppate ma anche il rapporto tra la mamma e il bambino e come si comporta il piccolo: a volte si stacca dal seno per respirare, riposarsi o per guardarsi intorno e allora lei, ansiosa, lo stimola a riprendere a mangiare riattaccandolo al capezzolo e dandogli delle bottarelle sulla schiena. La mamma interventista non rispetta le interruzioni, la mamma attendista le sa interpretare.

 

Cosa significano queste “pause” per il bambino?

Possono significare per esempio che è pronto per un cambio di dieta. Il primo distacco dal seno o dal biberon è un altro momento topico perché il bambino deve imparare a gestire il cibo da solo, da quando lo mette in bocca a quando lo deglutisce: una cosa che non è così istintiva e automatica. Per questo lo svezzamento è un passaggio delicato e va fatto quando sia la madre che il bambino sono pronti. Non c’è una regola: può avvenire al quinto come al sesto o settimo mese, ma non bisogna far passare il momento giusto e stare attenti ai segni. Se il bambino è pronto spesso lo dimostra guardandosi in giro con curiosità, gettando per terra le cose e afferrando i cibi sul tavolo. È il momento della prima pappa: lo si mette sul seggiolone, perché è fondamentale che impari a mangiare seduto, e gli si prepara un piattino con piccole porzioni di cibi vari. Lui deve essere libero di pasticciarli, di metterci le mani dentro per conoscerne non solo il gusto ma anche la consistenza: solo così impara in modo naturale e anche in futuro apprezzerà il momento del pasto associandolo al piacere e al gioco.

Foto di Sami Keinänen/flickr

 

Cosa succede invece quando si sbagliano i tempi?

A volte il bimbo è pronto a essere svezzato ma la madre non lo è: non vive bene il distacco dal seno e quando deve dargli la pappa pensa “oddio, è il momento di dargli da mangiare”, non è convinta, è tesa. Quello che non sa è che il bambino le fa da specchio e vive a sua volta male il momento, vede il viso della madre, ne sente l’ansia e sputa il cibo e così la madre si sente rifiutata in toto e comincia a pensare di non essere una buona madre. È molto comune. A volte invece la mamma ignora i segnali e fa passare il momento giusto allattando il figlio ad oltranza: questo rischia di creare una simbiosi esagerata che renderà più difficile il distacco; il bambino potrebbe avere poi scarsa autonomia nel camminare da solo e nelle funzioni fisiologiche.

 

A volte, pur svezzati, i bambini proprio non vogliono mangiare…

Si è vero ma non c’è da preoccuparsi, il tutto va vissuto in modo naturale e sereno: se il bambino ha fame, mangia. Non deve essere pressato a farlo. È importante invece che impari a mangiare seduto: si deve concentrare sul cibo, sull’atto del mangiare e farlo in modo spontaneo, con i suoi tempi. Questo è il modo migliore per prevenire i disturbi alimentari. Inoltre l’imprinting del bambino si riflette sull’adolescente: se ben educato, da ragazzo potrà anche frequentare ogni tanto i fast food con gli amici, perché sarà naturale per lui tornare poi nel quotidiano a quelle regole di alimentazione sana ed equilibrata che ha fatto sue, ritroverà da solo i canoni corretti dell’infanzia.

 

Image by © Image Source/CorbisLei è una pediatra poi si è avvicinata all’omeopatia. Come è successo?

Sono pediatra omeopata da 15 anni. Dopo l’ospedale ho aperto un mio ambulatorio a Saronno. C’era in paese un pediatra omeopata di cui i miei paziento spesso mi parlavano. Mi sono messa in discussione e ho cominciato a chiedermi se non ci fosse qualcosa d’altro oltre ai farmaci antiinfiammatori e ai mucolitici. Così ho cominciato a studiare i rimedi omeopatici e poi ad applicarli e ho visto che funzionavano. Dopo ho cominciato a insegnare i principi dell’omeopatia che guarda la persona prima del problema. La medicina naturale cura il bambino  in “toto“: i suoi dolori, la sua psicologia, il suo modo di pensare e di reagire a determinate situazioni, il suo modo di manifestare quella malattia.

 

Come intervenire in casi concreti, come quello di un bambino che si lamenta sempre per il mal di pancia?

Un bambino che soffre sempre di mal di pancia al mattino dopo colazione prima di andare a scuola, potrebbe avere un’intolleranza al latte. Se non risulta dagli accertamenti potrebbe somatizzare un disagio dovuto a cause diverse: una è l’ansia da prestazione. Se è molto bravo a scuola deve mantenersi sempre all’altezza delle aspettative materne o degli insegnanti; se invece è timido e ha difficoltà a socializzare, deve affrontare l’insicurezza che questo gli provoca; un’altra possibilità potrebbe essere l’incapacità di imporsi ai compagni legata a scarsa autostima e paura. Per ognuna di queste situazioni l’omeopatia possiede un rimedio diverso da prescrivere, ma solo dopo che la visita pediatrica ha scandagliato anche l’aspetto psico-emotivo del problema.

Oppure che a casa non mangia?

Un bambino che non vuole mangiare nulla a casa e invece mangia regolarmente all’asilo o a scuola, in assenza di anemie, intolleranze e altre patologie organiche, potrebbe voler dire qualche cosa: “mamma, non ci sei mai, non mi dai abbastanza attenzioni e tiranneggiarti durante il pasto è l’unico modo che ho per sentirti interessata a me” oppure “mi stai soffocando con troppa ansia, mi spingi a mangiare in continuazione” o anche “non ho tempo per mangiare: mi interessa altro, giocare, guardare, curiosare, sperimentare.” In ognuna di queste situazioni si propone un rimedio diverso che aiuti il bambino  e la mamma a risolvere la situazione.

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