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Luca Primon: con cultura e creatività realizzo violini straordinari

di Sara Donati
31 Agosto 2011

I violinisti di mezzo mondo preferiscono i suoi strumenti fatti a mano al classico Stradivari. Perché il rinomato liutaio trentino costruisce pezzi unici che hanno il tratto distintivo di un forte carattere e una precisa personalità. Frutto di passione e dedizione

Luca PrimonLuca Primon è uno dei più rinomati liutai del mondo, apprezzato a livello internazionale per la sua abilità ed esperienza. Costruisce violini per i migliori musicisti di tutti i Paesi, anche se in questo momento il suo principale mercato d’esportazione è quello orientale e giapponese in particolare. Ha partecipato al restauro di strumenti di notevole interesse storico (Collezione di Santa Maria della Pietà, Venezia, con la stesura del relativo catalogo, insieme all’organologo Marco Tiella) ed altre pubblicazioni d’interesse liutario. Si procura personalmente il legno più pregiato per la costruzione dei suoi strumenti nelle foreste del Trentino (in particolare i boschi della Val di Fiemme, ricca di abeti di risonanza) dove è nato e  tutt’oggi lavora.

Come si diventa liutaio?

Tanti anni fa studiavo musica, prima il violoncello e poi il contrabbasso. Alla fine ho scoperto che mi piaceva di più fare strumenti, piuttosto che suonarli. Già mio nonno Francesco li riparava ed è stato da lui che ho imparato i primi rudimenti ma anche la grande passione per questo mestiere. Poi hanno riaperto una sezione di liuteria presso il Conservatorio di Parma e mi sono iscritto subito. finita la scuola, ho cominciato ad insegnare presso la Nuovissima Scuola di Liuteria del Comune di Milano e parte del tempo l’ho dedicato a viaggiare un po’ all’estero, facendo corsi di aggiornamento e andando a lavorare con altri Maestri. Questo mestiere si impara anche così. Con una buona base scolastica, ma anche guardando cosa succede in giro per il mondo ed aggiornandosi.

Dettaglio di un violino

A proposito di mondo, chi sono i suoi clienti?

In genere gli intermediari che riforniscono i negozi specializzati. Mentre è più difficile che un singolo musicista si rivolga a me. Di sicuro non riuscirei a fare il mio mestiere così come lo faccio oggi, basandomi solo sulla clientela italiana. Vivo di esportazione al 90 percento di quello che produco, in questo periodo soprattutto verso il Giappone. Per fortuna il pianeta è ancora grande. 

La scelta del legnoChe rapporto ha, invece, con la tradizione?

Costruisco lo strumento interamente a mano, facendo anche la sgrossatura, ed è vero che con questo procedimento si “perde” tempo, ma si impara a conoscere il pezzo di legno che si ha davanti. Non ne esiste uno uguale ad un altro, neppure se ricavato dallo stesso albero.

Una delle cose più complicate e più importanti per un liutaio è capire nel modo più profondo possibile la materia che ha di fronte e lavorarla di conseguenza. Noi non possiamo cambiare la materia, ma possiamo adattarci ad essa e lavorarla come merita.

In un periodo di crisi, come sopravvivono mestieri di questo tipo?

Ce la caviamo. Questo non  è un mestiere dove si guadagnano così tanti soldi, soprattutto se fatto come lo faccio io. Mi spiego meglio facendo un paragone con la pittura: se io faccio un quadro, forse non recupero neppure i soldi della tela, ma se lo fa Picasso allora vale molto. Con il violino d’arte è un po’ la stessa cosa. Dipende da chi sei, come lo fai, che tipo di risultati sei riuscito ad ottenere. Quanto sei riuscito a curare la tua immagine e soprattutto quanto ai musicisti piacciono i tuoi strumenti. A quel punto non si è più pagati a tariffa oraria, ma ad entità oggetto, quindi alla fine, dopo qualche decennio, si riesce a viverci decentemente.

Come si costruisce e si riconosce un violino eccellente?

Conta soprattutto procurarsi della materia prima eccellente. Questo non è facile. Bisogna andare nei boschi, cercare. La materia prima eccellente non la trovi per caso, richiede un lungo lavoro di ricerca. Prima ancora bisogna saperla riconoscere. Dopo bisogna riuscire a lavorarla, riuscire a capirla, e bisogna fare strumenti belli, eleganti e con personalità. Quest’ultima è forse la parte più complicata. Si tratta di dare un vero e proprio “imprinting” allo strumento, renderlo di carattere. La personalità, secondo me, o c’è o non c’è. Nel primo caso è facile riconoscerla, salta fuori da qualsiasi piccolo dettaglio. Nel secondo non si può far nulla per aggiungerla, se non ottenendo risultati ridicoli: si vedono spesso strumenti con parti artificialmente alterate, per dare l’impressione di essere personali, originali. Ma questo non funziona: sono solo modifiche posticce, invece per costruire uno strumento davvero “unico” ci vogliono grande cultura alle spalle, competenza e creatività.


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