Wise Society : Gustavo Pietropolli Charmet: profetizzare catastrofi toglie ai giovani la capacità di realizzarsi
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Gustavo Pietropolli Charmet: profetizzare catastrofi toglie ai giovani la capacità di realizzarsi

di Monica Onore
31 Luglio 2013

Gustavo Pietropolli CharmetIn adolescenza cambia la percezione del mondo intorno e dentro di sé, cambia il corpo e cambiano le relazioni. Le emozioni si moltiplicano, si complicano e tutto, tra scoperte, avventure, insidie sembra confuso. Per capire gli adolescenti di oggi non basta rifarsi alla propria esperienza, la società è profondamente cambiata, gli adolescenti crescono all’ombra di forti ideali narcisistici e consumistici e, per questo, rischiano di rimanere delusi dalle aspettative riposte nel diventare grandi. I genitori si trovano così in difficoltà, anche se, rispetto alle generazioni precedenti, instaurano con loro relazioni meno conflittuali. Ne parliamo con Gustavo Pietropolli Charmet psichiatra e psicoterapeuta, fondatore dell’Istituto il Minotauro, considerato tra i più importanti esperti italiani di adolescenza e disagio giovanile.

Secondo lei, perché è aumentata la richiesta d’informazioni da parte di genitori con figli adolescenti?

Si sente la necessità di avere accesso a informazioni che chiariscano quale sia il senso delle straordinarie novità che caratterizzano il percorso di crescita dell’adolescente attuale. Per i genitori i ricordi della propria adolescenza servono a poco, anzi addirittura rischiano di confondere  le idee riguardo a quello che accade ai loro figli. Questo li rende perplessi sul significato dei loro comportamenti. Noi siamo stati educati attraverso il senso di colpa e paura, e soffrivamo oppressi dal senso del dovere. Le nuove generazioni, invece, soffrono di ferite narcisistiche e vivono nell’angoscia di essere inadeguati, invisibili, brutti. I genitori non riescono più a decidere con chiarezza quando devono preoccuparsi o se può bastare la propria competenza educativa. Si sentono spesso insicuri e non sanno se essere contenti della richiesta di autonomia portata avanti con grande convinzione dai propri ragazzi, delle loro prime bugie, oppure se si devono preoccupare dell’eccessiva devozione al gruppo, dell’uso “moderato” di sostanze stupefacenti e così via. Tutte queste novità sono tali da confondere il progetto educativo, per questo è aumentata la richiesta di saperne di più.

Foto di TheodoreWLee/flickr

Il suo libro AdoleScienza. Manuale per genitori e figli sull’orlo di una crisi di nervi (Edizioni San Paolo, 2010) si propone come un manuale d’aiuto per i genitori. Com’è nato?

Penso che quando vogliamo capire cosa ci accade sia utile leggere dei libri. Svolgo da anni un lavoro di consultazione con la madre e il padre degli adolescenti in crisi.  Mentre qualcuno parla con il figlio, la figlia, io mi confronto con i coniugi. Li incontro separatamente, perché ho l’impressione che nel momento della crisi non sia tanto interessante sentire cosa hanno da dire i genitori in quanto tali, ma sia invece molto più importante sapere quali passioni sperimenta, cosa sente e pensano singolarmente la madre e il padre della figlia o del figlio adolescente. Avendo fatto questa esperienza ho creduto che potesse essere d’aiuto raccontarla scrivendo una specie di manuale (a quattro mani con Loredana Cirillo, ndr) Sono partito da esempi concreti della vita quotidiana per darne poi un senso psicologico. E, insieme ai miei collaboratori abbiamo cercato di far intravvedere gli aspetti di novità che si agitano in questo contrasto e conflitto.

Image by © Roy McMahon/CorbisIl dibattito sul percorso di crescita adolescenziale è sempre più vivo, come orientarsi fra le tante e diverse proposte educative?

Fortunatamente si sta lentamente diffondendo nel paese una cultura dell’adolescenza, così come è successo per l’infanzia. In Italia la cultura dell’infanzia è buona e la scuola è molto informata sulla psicologia, lo sviluppo e le problematiche dei bambini. Adesso si sta sviluppando quella sull’adolescenza: gli adolescenti sono diventati protagonisti nei programmi televisivi in prima serata e sorreggono l’editoria.  Si scrive e si comunica molto attorno a loro e nel supermercato della pedagogia ci si trova un po’ di tutto. Chi parla di crisi grave della genitorialità e chi, invece, pensa sia meglio lasciar fare. E c’è chi anche, come me, è convinto che in realtà si stia diffondendo un modello attento ai cambiamenti da apportare al ruolo di padre e di madre nel periodo della pubertà dei figli. Il modello condiviso e prevalente mi sembra incentrato su figure genitoriali protettive e presenti nel momento delle decisioni.

Può farci un esempio?

A questo proposito mi ha colpito una ricerca che ho fatto su alcuni ragazzi che non avevano mai fumato cannabinoidi. Siccome quasi tutti, nell’aerea milanese dove vivo, provano almeno una volta, il fatto che ci fossero dei giovani adolescenti che non avevano mai accettato di farlo mi sembrava assai singolare. Parlandone è venuto fuori che, quando si sono trovati di fronte ad una proposta di questo tipo, per verificare se la cosa poteva interessargli veniva loro in mente la faccia del padre o della madre e di quando salutandoli diceva loro: “Mi raccomando…”. La cosa interessante è che non avevano paura di provare perché il padre li aveva in qualche modo minacciati o in seguito li avrebbe puniti, al contrario, non volevano rompere un patto affettivo, una relazione di stima reciproca.  E tra il rovinare la relazione positiva con il padre e disubbidire al gruppo, che spesso pretende un atto di obbedienza e di sperimentazione, questi ragazzi hanno scelto la relazione con il padre. Questo è un bell’esempio di come madri e padri possano svolgere un’azione protettiva ed essere presenti a livello emotivo, anche se assenti di fatto, nel momento delle scelte del figlio.

Image by © Tim Pannell/CorbisUna buona relazione tra genitori e figli può far fronte alla difficile prospettiva di un futuro sempre più incerto?

Bisognerebbe che in genitori costruissero intorno alla mente dei propri figli un baluardo per evitare che arrivino, con troppa capacità di penetrazione, alcune profezie nerissime che la sottocultura nella nostra società sta preparando. Per esempio, che questa sarà la prima generazione che avrà un futuro peggiore dei propri padri e dei propri nonni; che gli lasceremo in eredità una società senza case, senza lavoro, senza pensioni e con la natura completamente dilapidata. In realtà tutti questi aspetti così economici, tecnici interessano poco i giovani. Quello che li preoccupa non sono il lavoro e la carriera, ma che ci possano essere delle difficoltà nel realizzare se stessi. Il loro timore più grande è quello di dover abdicare alla prospettiva di un tempo, detto futuro, in cui realizzare il proprio talento, la propria vocazione. Li preoccupa anche il fatto di non essere desiderati, di non essere ascoltati e che non ci sia davvero nessuno che spera che siano loro a portare idee e nuovi modelli su come vivere la famiglia, la coppia, l’amicizia etc. Quando i ragazzi hanno l’impressione di non riuscire a capire come realizzare la propria vocazione allora è possibile che il futuro muoia. E assistere alla morte del proprio futuro, in adolescenza e anche qualche anno dopo nella fase di giovani adulti, è una vera tragedia. Significa perdere la speranza e trasformare il presente in un eterno presente celebrando il lutto della perdita della relazione con il proprio sé futuro per il quale non vale più la pena di “impegnarsi”. A quel punto i ragazzi disperati diventano e sono un rischio per loro stessi e la società.

Perché i giovani fanno propri i modelli della società dei consumi?

Gli adolescenti sono alla ricerca di modelli e metodologie per capire come si possa fare per diventare visibili e famosi raggiungendo così un livello di riconoscimento sociale capace di attrarre l’occhio delle telecamere e dei coetanei. Per questo gli ideali e i modelli della sottocultura massmediale narcisista hanno una forte capacità di penetrazione sugli adolescenti legata al bisogno e al desiderio di diventare visibili a farsi apprezzare. La società del narcisismo fa così delle vittime, facilitata anche dal fatto che arrivano all’adolescenza bambini convinti che una delle cose più importanti da fare nella vita sia esprimere il proprio sé. La sottocultura dei mass media e dalla pubblicità fa leva su di loro, puntando a vendere soprattutto beni di consumo e proponendo modelli irrealizzabili, che provocano umiliazione, mortificazione, rabbia, desiderio di vendetta o ritiro sociale.

Un esempio anche qui?

L’ideale della magrezza che diventa per la maggioranza delle ragazze sinonimo di bellezza e che spinge molte di loro a manipolazioni violente sul proprio corpo. Produrre un cambiamento, ai loro occhi, le renderà accettabili, desiderabili. Modelli “crudeli” di questo tipo valgono anche per i ragazzi, istigati a pensare che sia legittimo voler essere famosi subito e con qualsiasi mezzo, consapevoli del fatto che una volta conquistata la notorietà tutto sarà permesso e perdonato.

Image by © Tim Pannell/Tetra Images/Corbis

Scuola e famiglia sono le uniche ad avere una competenza e una responsabilità educativa, eppure non sono ancora riuscite a trovare un’alleanza. Perchè?

Non è facile capire come la scuola e la famiglia possano allearsi.  Al momento non sappiamo se sono i docenti che non si alleano con i genitori o se sono i genitori che hanno ritirato la loro delega agli insegnanti. I docenti fanno fatica a spiegare ai ragazzi quanto sia utile e importante indossare “l’abito” sociale dello studente e i ragazzi non accettano questa proposta perché non ne vedono i vantaggi. La scuola colpevolizza i genitori perché non hanno spiegato ai loro figli che esistono dei valori, un’etica e regole di comportamento. Questo consente ai genitori di stare dalla parte dei ragazzi, ritenuti innocenti, e a considerare la scuola incapace di capire i loro bisogni e le loro fragilità. Così ci si ritrova da una parte una scuola che difende le proprie tradizioni e la propria missione, dall’altra una famiglia che ha cambiato le proprie prospettive educative ed è fortemente orientata a sostenere la realizzazione del sé del proprio figlio.

Image by © Roy McMahon/CORBISI genitori hanno l’impressione che la scuola mortifichi la creatività, l’unicità, la spontaneità dei ragazzi che tornano a casa sempre più demotivati dalle frustrazioni raccolte in aula. È chiaro che in un momento in cui tutti sono convinti che l’adolescenza sia il principale fattore di rischio per una serie di catastrofi, sarebbe quanto mai opportuno che la scuola e la famiglia attrezzassero “un’area protetta” dove potersi confrontare, non sull’apprendimento e sulla trasmissione dei valori, ma sull’educazione, ossia su cosa significhi sostenere gli adolescenti nella realizzazione dei loro compiti di sviluppo, facilitandone la creatività e la soggettività.  In questo momento il contenzioso tra scuola e famiglia è piuttosto alto: è in atto una denigrazione reciproca, per cui nei consigli di classe si parla molto male dei genitori, e nel salotto di casa si parla molto male dei docenti. In mezzo ci sono i ragazzi che non sanno più bene neanche loro a chi dare ragione.

 

 

Cosa significa, oggi, per i genitori educare i propri figli?

Oggi i genitori pensano che educare non sia tanto trasmettere valori, principi che si esprimono attraverso regole, quanto testimoniare un’interpretazione della società, della coppia, dell’amicizia, del lavoro. E vogliono rendere sicuri i loro ragazzi anche attraverso il pensarli come un bene prezioso. L’essere pensati, sentire che i genitori ci sono è un valore che regala ai figli adolescenti la sicurezza di non essere soli. Perché dietro i vari travestimenti, a volte difficilmente decifrabili, ci sono sempre un ragazzo o una ragazza che hanno bisogno di spettatori appassionati capaci ogni tanto di sccendere in campo per dare loro una mano o segnare il limite. I ragazzi che non sono pensati, che si sentono abbandonati, privi di valore e di presenze non riescono a uscire bene dall’adolescenza e sono pronti a vendicarsi di queste mancanze, andando a conquistarsi l’attenzione della società. A tutti i costi. Si entra nell’area a rischio del disagio giovanile quindi, quando la famiglia non riesce a dar loro questa esperienza di accoglienza e se, contemporaneamente, anche la scuola li delude.

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