Wise Society : Eddy Cattaneo: il giro del mondo in 467 giorni, senza mai prendere l’aereo
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Eddy Cattaneo: il giro del mondo in 467 giorni, senza mai prendere l’aereo

di Barbara Pozzoni
27 Settembre 2011

Un ingegnere lombardo ha lasciato tutto per realizzare la sua avventura, a basso impatto, attraverso il Pianeta. Che ha raccontato in un blog e in un libro, già di successo

Eddy CattaneoEddy Cattaneo, 42 anni, è un ingegnere ambientale nato a Ciserano (Begamo) che qualche anno fa si è licenziato da un posto di lavoro sicuro, per intraprendere una parte di girodelmondo a piedi: 467 giorni di viaggio  “senza bucare il cielo”, cioè senza prendere aerei. Un insieme di esperienze uniche ed indimenticabili che ha riassunto in un libro pubblicato da Feltrinelli (nell’aprile 2011) Mondo via terra (mondoviaterra.blogspot.com).

Come le è venuta l’idea di questa impresa?

Fin da piccolo ero affascinato da atlanti geografici, mappe topografiche, bandiere e fotografie di paesi lontani. Non a caso sono diventato ingegnere ambientale, visto che il mio lavoro tratta appunto di geografia e modelli ambientali. Finito il liceo me ne sono andato in giro per l’Italia, col sacco a pelo, per tre mesi, terminata l’università mi sono concesso un anno sabbatico in giro per l’Europa (percorsa tutta con la mia macchina, dove dormivo pure), tre anni fa alla soglia dei quarant’anni ho deciso di levarmi questo sassolino dalla scarpa: fare il giro del mondo. Ho pensato che se non l’avessi fatto in quel momento, probabilmente non l’avrei più realizzato, quindi, non essendomi stata concessa l’aspettativa dal lavoro, mi sono licenziato. In tre mesi, ho affittato la mia casa, mi sono vaccinato e ho cercato informazioni sui possibili percorsi e mezzi di trasporto terrestri che avrei trovato sulla mia strada. E a settembre del 2008 mi sono infilato su un bus per la Lettonia…

Come mai questo lungo e faticoso viaggio alla soglia dei quarant’anni?

Non credo ci sia un’età per viaggiare, ma è vero che il passare del tempo complica le cose. Io quest’avventura non volevo farla, dovevo farla. Era una specie di febbre che mi assaliva e dalla quale non riuscivo a guarire. Non l’avessi vissuta,  avrei avuto un sacco di rimpianti e non me lo sarei perdonato.

Come mai un itinerario che non comprendeva aerei?

Ancor prima di partire tre erano le caratteristiche che volevo dare a questa esperienza: pulito, quindi un viaggio nel pieno rispetto della natura, senza bucare l’ozono e usando i mezzi locali dei vari Paesi (biciclette, carretti, cavalli, motorini, autobus, passaggi in auto ecc.). Lento, per non farmi fretta, per avere il tempo di assaporare ogni istante, perché non avevo motivi particolari per accelerare i tempi, per vivere tutto il percorso sentendolo sotto il peso del mio corpo, passo dopo passo. Circolare, perché sarebbe stato un percorso che si sarebbe chiuso al punto di partenza. Certo il termine lento è assolutamente individuale, perché quello che io ho fatto in un mese, gli altri possono averlo fatto in due anni, ma diciamo allora, lento rispetto alle mie esigenze.

E perché allora non ha continuato dopo questi 467 giorni?

«Non mi sono mai dato una scadenza, che fosse la data o la fine dei soldi. Nessun limite. Mi sono sempre lasciato fluire, convinto che ogni momento poteva essere vissuto completamente solo, senza un orizzonte predeterminato. Ora qualcosa è cambiato, non sono stanco, sento ancora in corpo l’energia per continuare a rimanere sulla strada e fosse per le gambe andrei ancora avanti a camminare. Però sono pieno». Così scrivevo a Timbuktu, nel Mali, il giorno 453. Perchè una volta là, ho realizzato di essere sazio, di avere colmato i miei sensi. Soldi ne avevo ancora, ma mi sentivo appagato ed ho capito che era ora di tornare per smaltire tutte le informazioni e le emozioni di cui mi ero arricchito.

Picasa Web Album di Eddy

In mezzo a tanti spostamenti e disagi del lungo percorso, dove, come e su cosa scriveva?

Scrivevo veramente dappertutto, in ogni luogo mi trovassi ed ogni qualvolta sentissi delle cose che volevano uscire fuori. Annotavo ogni mio pensiero su qualsiasi foglietto mi capitasse tra le mani, persino sulla carta igienica, con il rischio e la paura di perderli, o, come mi è successo di bagnarli trasformando le mie parole in strisce d’inchiostro senza senso. Per evitare risuccedesse, poi, ho deciso di fermarmi ad ogni Internet point per trascrivere i miei pensieri e salvarli dalle piogge. Quando sono arrivato a Shanghai, ho ceduto alla tecnologia, ed ho deciso di comprarmi un notebook del peso di un chilo e questo mi ha semplificato la vita.

Cover libro "Mondo via terra"Perché ha deciso poi di scrivere un libro?

In realtà non sapevo sarebbe andata così e questo libro doveva essere semplicemente il mio diario di viaggio, i miei appunti, i ricordi scritti perché non potessi dimenticarli…la proposta della casa editrice è arrivata al mio ritorno…Non ho  voluto scrivere una guida, ma semplicemente raccontare la mia esperienza, le mie sensazioni, le mie emozioni, senza giudicare nulla e nessuno e senza essere pedante. Non sono uno scrittore, questa è la prima volta che pubblico qualcosa, ma ho capito che scrivere mi piace moltissimo. Io sono quello che leggete, i miei amici quando mi leggono, mi riconoscono. In questo diario ho cercato di far arrivare alla gente la “sensualità” che ho trovato visitando tutti questi posti, perché, a mio parere, ogni viaggio coinvolge tutti i cinque sensi: le strade sono suoni, odori, colori e sapori ed ho cercato di mettere a confronto non solo questa parte sensoriale, ma anche il mio intimo, le mie riflessioni legate alle esperienze del momento.

Non si è mai fermato a lavorare da qualche parte durante il viaggio?

No, non l’ho voluto fare perchè avrebbe dato una connotazione diversa a questa esperienza e comunque non avevo bisogno urgente di soldi. Trovarsi un occupazione mi avrebbe costretto a fermarmi molto di più in certi posti ed io volevo sentirmi sganciato da legami di qualsiasi genere. Sarebbe diventato un viaggio troppo lungo e poco libero.

Quali cose preziose ha riportato con lei da questa avventura?

Senza dubbio i ricordi più belli sono legati alla bontà d’animo, all’ ospitalità e al cuore di tutta la gente che ho incontrato. Nell’arco di questo anno e mezzo non ho mai avuto brutte esperienze, ma solo offerte di fiducia che io, seguendo il mio istinto, ho preso al volo. Senza dubbio c’è stata anche una forte componente di fortuna che non fa mai male…e poi l’amicizia, tutte le persone con cui ho stretto rapporti e con cui sono rimasto in contatto, una grande apertura nella mia vita da un punto di vista emotivo. Ma il viaggio mi ha anche indotto a delle riflessioni, la prima sulla povertà in cui vivono alcune popolazioni, come il Mali o il Burkina Faso e poi l’India…l’India soprattutto ti spacca il cuore. Mi ha colpito il rapporto religione-denaro: in certi posti, ma succede anche con il cattolicesimo, paghi per raggiungere il Nirvana o il Paradiso, ogni offerta che fai ti ci avvicina di più , devi sempre dare qualcosa per ottenere qualcosa d’altro. Insomma al giorno d’oggi, puoi comprarti persino la reincarnazione.

Cosa è cambiato in lei  da quando è  tornato?

Beh, c’è stata una forte difficoltà nel riconoscere tutto ciò che non mi era più familiare, il ritorno alla vecchia routine non è stato certo nè facile né immediato e poi non leggo più i giornali, non ne sento il bisogno e se voglio aggiornarmi vado su Internet, dove sono io a poter scegliere le cose su cui mi voglio informare, mentre la stampa o la televisione ti obbligano alle informazioni scelte da loro.

Perché sono pochi gli italiani come lei che partono da soli per lunghe avventure?

In Italia c’è una cultura del viaggio diversa, le famiglie sono molto presenti e costruiscono  una rete di protezione non adatta ad una mentalità viaggiatrice, si tende a non “far volar via dal nido” i propri figli, e poi forse ci sono anche dei motivi economici che olandesi, australiani e tedeschi non hanno.

Un consiglio per chi vorrebbe intraprendere un viaggio come il suo?

Lasciarsi andare, lasciarsi sommergere dalle proprie sensazioni e seguire l’istinto. Valutare sempre che ogni cosa a cui si rinuncia, potrebbe non ripresentarsi. Dire sempre no ti fa forse vivere tranquillo, ma ti allontana dalla vera avventura, ti porta fuori rotta dall’essenza del mondo.

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