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CSR: a Pavia, un network che misura l’impatto delle aziende sulla nostra vita

di Chiara Bondioli
5 Dicembre 2012

Giampaolo Azzoni, uno dei fondatori del C.E.G.A., racconta come è nato il centro di etica applicata presso l'Università lombarda, che affronta temi sensibili della nostra società

Giampaolo AzzoniIl Centro generale di etica applicata (C.E.G.A) ha sede al Collegio Borromeo di Pavia, nel cuore dell’antica città accademica.

Questo nome ci ha subito incuriosito: il verbo applicare significa, tra l’altro, mettere in pratica una conoscenza. Quindi “etica applicata” vuol dire far rientrare l’etica, nome dalle valenze alte e impalpabili, in un processo concreto, come quello dell’attività di un’azienda, ad esempio.

In un momento dove tutti i media non fanno che trattare la drammatica notizia della chiusura dell’Ilva di Taranto, colosso industriale dell’acciaio che ha rappresentato per anni un indotto economico importante per il Paese e che, a causa di corruzione e mancati controlli, ha prodotto un inquinamento ambientale (con relative ricadute sulla salute pubblica) di dimensioni gravissime; il nome di questo Centro suona ancor di più come un punto di riferimento irrinunciabile per la nostra vita.

Così in un ufficio pieno di libri e affacciato su un cortile quattrocentesco ombreggiato da grandi magnolie dell’università (che ci fa pensare alla fortuna di vivere in un Paese che, sebbene maltrattato, ti sorprende sempre con la sua bellezza) incontriamo uno dei due fondatori: il professore della facoltà di giurisprudenza Giampaolo Azzoni.

Dalla procreazione assistita al testamento biologico

 

Cos’è il C.E.G.A?

È un network di studiosi e ricercatori che si occupa di etica e lavora soprattutto a stretto contatto con legislatori e medici poiché il settore che assorbe direi il 90 percento del nostro interesse è quello della biologia e della medicina.

Il “cuore” del centro è Carmelo Vigna, professore ordinario di filosofia morale all’Università di Venezia; dal nostro incontro è nata l’idea di realizzare questo punto di riferimento dove si potessero trattare i temi legati all’etica applicati sia al mondo della medicina sia a quello delle aziende. Esiste poi un ampio comitato scientifico che è composto da 50 membri di profilo internazionale e quasi tutti di ambito filosofico.

Quali sono i temi etici, legati a medicina e biologia, più urgenti nella nostra società?

Sono molti, di grande rilevanza e molto complessi anche dal punto di vista giuridico. Basta pensare alla procreazione assistita o alla scelta selettiva degli embrioni. Per quest’ultimo punto le faccio l’esempio di una coppia lesbica americana, entrambe le donne sorde dalla nascita, che hanno voluto selezionare embrioni con questa caratteristica genetica: una scelta che sicuramente pone enormi problemi da un punto di vista etico.

Oppure il testamento biologico che si lega anche alle patologie relative alla demenza senile che, con l’invecchiamento della popolazione, stanno crescendo in modo esponenziale in tutto il mondo.

Come appare evidente sono situazioni che aprono grandi dibattiti non solo dal punto di vista etico, ma anche giuridico ed economico.

Image by © Firefly Productions/CORBIS

Aziende sane e competitive

 

L’altro settore di cui vi occupate sono le aziende: come si parla di etica d’impresa in un momento dove la corruzione e il cinismo dei meccanismi di finanza ed economia hanno provocato danni enormi?

È molto importante che all’interno del mondo aziendale passi la strategia del “creating shared value” come ha sostenuto Michael E. Porter, professore di economia dell’Harvard Business School e direttore dell’l’Institute for Strategy and Competitiveness, in un suo recente articolo uscito sull’Harvard Business Review firmato con il collega Mark R Kramer.

Ossia questo significa realizzare politiche che vadano verso la sostenibilità e il coinvolgimento degli stakeholder. Solo in questo modo le aziende possono durare nel tempo, essere davvero competitive e generare profitto.

La aziende italiane quanto si stanno attivando sul fronte della CSR?

Molte piccole e medie imprese italiane sono spesso realtà molto coese che, pur non avendo un manager dedicato, la responsabilità sociale d’impresa la realizzano nei fatti; la maggior parte però non ha un bilancio sociale e il loro limite è che non reputano che queste azioni debbano essere comunicate per valorizzare il loro brand.

Viceversa per le grandi realtà che si rivolgono al mass market o che hanno un forte impatto ambientale, come quelle del settore chimico e petrolifero, fare CSR è uno dei punti fondamentali della politica aziendale.

Image by © Ikon Images/Corbis

Non è che per alcuni è solo una buona occasione per lavarsi la coscienza e fare greenwashing?

Certo questi sono aspetti sempre da valutare attentamente, ma in generale per un’azienda il fatto di impegnarsi in un processo di etica e sostenibilità, significa scendere in un’arena pubblica dove anche eventuali lacune o mancanze rischiano di diventare ancora più evidenti rendendo così l’azienda un possibile bersaglio.

Per questo nella scelta di impegnasi in un cambiamento, bisogna vedere il lato positivo che è la buona predisposizione a mettersi in gioco.

Sostenibilità sociale e ambientale in primo piano

 

Cosa fa un CSR manager all’interno dell’azienda?

Image by © Ikon Images/CorbisConiuga due aspetti di grande importanza, che non sempre possono essere riuniti in un’unica persona.

Infatti un manager che si occupa di responsabilità sociale di impresa deve avere da un lato una competenza tecnica specifica relativa ai processi di sostenibilità legati alla produzione dell’azienda e dall’altro una competenza nel campo della comunicazione e delle relazioni esterne per essere in grado di coinvolgere gli stakeholder.

Uno dei problemi più rilevati resta ancora la difficoltà di misurazione dei risultati ovvero la valutazione dell’impatto dei progetti di CSR a livello sociale e ambientale.

Quali sono le realtà più accreditate a livello internazionale che certificano le aziende dal punto di vista di etica e sostenibilità?

I riferimenti sono innanzitutto l‘indice di sostenibilità Dow Jones i cui parametri sono valutati dalla holding svizzera SAM (Sustainable Asset Management), provider nell’ambito dei rating di sostenibilità per le aziende che misura l’eticità delle aziende quotate nella Borsa di New York (dove peraltro ogni anno c’è un forte delisting).

Poi c’è il Global Reporting Initiative, che definisce i parametri per i bilanci in tema di equità (GRI è un’organizzazione no profit che dal 2007 ha attivato un programma internazionale di certificazione finalizzato ad individuare, al livello mondiale, un gruppo ristretto di realtà in grado di diffondere, nei rispettivi contesti nazionali, tutte le conoscenze e metodologie necessarie per un’utilizzazione ottimale delle linee guida GRI per la rendicontazione di sostenibilità, ndr).

Comunque qualsiasi passo venga fatto in questa direzione va considerato come la dimostrazione dell’impegno delle realtà produttive a partecipare, ognuno con le proprie capacità, a un importante processo di cambiamento a livello mondiale.

 

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