Wise Society : Quella linea che unisce cibo e migrazioni
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Quella linea che unisce cibo e migrazioni

di Michele Novaga
17 Febbraio 2018

Lucio Caracciolo direttore di Limes e di MacroGeo spiega le conseguenze della mancanza di cibo in Africa e disegna possibili scenari futuri sul fenomeno delle migrazioni

Nel mondo ci sono circa un miliardo di persone che emigrano per questioni legate al cibo. Secondo Lucio Caracciolo, direttore della rivista di geopolitica Limes, molte delle persone che lasciano l’Africa per raggiungere l’Europa lo fanno sulla spinta del cambiamento climatico e di fattori agricoli. «Di fronte alle masse che migrano, il primo punto da chiarire è che le migrazioni sono un fenomeno strutturale e non quell’emergenza che viene spesso descritta da giornali, blog o televisione. È qualcosa di cui ci dobbiamo occupare oggi, ma che senza dubbio farà parte del resto delle nostre vite e delle vite dei nostri figli e nipoti», spiega Caracciolo a Wise Society a margine del Forum BCFN, organizzato da Barilla Center for Food & Nutrition, sottolineando il forte legame tra spostamenti e sviluppo sostenibile dell’ambiente e dei sistemi agroalimentari. Il cibo «può essere uno straordinario veicolo di integrazione in Italia in Europa e nel nord del mondo perché è un elemento di identità. Nelle nostre società civilizzate e in special modo in paesi come la Germania i migranti e gli autoctoni si ritrovano attorno al cibo, cucinano insieme, scambiano esperienze, scherzano insieme guidati dalla curiosità recirpoca».

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Per Lucio Caracciolo i legami tra cibo e migrazioni sono evidenti: Foto: Pixabay

Cibo e migrazioni, cambiamenti climatici: quali sono i punti in comune?

I dati ci offrono due tipi di interpretazioni: uno geopolitico cioè la disintegrazione delle istituzioni nelle aree di origine delle migrazioni. Un caso limite è quello della Libia: una cosa è trattare con Gheddafi un’altra con mille gheddafini. In secondo luogo l’aspetto demografico: fin quando il tasso di fecondità delle donne africane sarà sei o sette volte superiore a quello delle donne europee la situazione non potrà essere affrontata. L’Africa raddoppierà la sua popolazione di qui al 2050 arrivando a due miliardi e mezzo e, in prospettiva, per la fine del secolo saranno quattro miliardi e mezzo. Mentre gli europei, che sono 700 milioni, diventeranno 600 milioni alla fine del secolo. Popolazione giovane da una parte, popolazione anziana dall’altra. Questa differenza è assolutamente ingestibile: o la riduciamo in Africa dando più potere alle donne attribuendole un ruolo attivo socialmente e culturalmente oppure il rischio è che si crei la famosa trappola maltusiana. Cioè che povertà genera malnutrizione e fame. Si fanno più figli perché si sa che uno morirà nel frattempo. Un figlio viene mandato fuori perchè deve mandare a casa le rimesse ancor oggi la principalae fonte di sostentamento per le famiglie africane. E si ricomincia con la povertà e questo è un ciclo che va spezzato. Ma ci vorrà molto tempo anche per diminuirlo.

Cosa si può e si deve fare?

Scontato il fatto che i fattori migratori sono strutturali e inevitabili, bisogna cambiare la legislazione. Noi abbiamo una legislazione che non ti permette di entrare in Italia legalmente. E quindi non permette a noi di selezionare i migranti. In secondo luogo è chiaro che dobbiamo aiutare i paesi africani ma bisogna tener presente dei fattori strutturali legati al clima in cui noi possiamo incidere più di loro. Quindi le politiche che aiutano in questo senso sono fondamentali. E infine l’agricoltura: dobbiamo fare in modo che i terreni agricoli siano difesi in modo che le popolazioni non siano costrette a spostarsi per fame alla ricerca di terre.

Lei è anche head di MacroGeo una società di analisi geopolitica e avete fatto anche una ricerca su questo tema

Food and migration è una ricerca che abbiamo fatto come MacroGeo insieme al Barilla Center per vedere quale sia appunto il nesso tra cibo e migrazioni. E lo abbiamo esplorato sia in termini positivi (identitari, coesivi nei paesi ospiti) e negativi (la carenza di cibo e tutto quello ad esso connesso soprattutto in Africa). E’ una ricerca molto approfondita e illustrata con mappe che è a disposizione anche sul web.

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Di fronte alle masse che migrano, il primo punto da chiarire è che le migrazioni sono un fenomeno strutturale e non quell’emergenza che viene spesso descritta da giornali

Che cosa è emerso?

Molti dati anche inattesi per esempio la crescita esponenziale delle rimesse degli immigrati. Dal 2000 ad oggi sono sestuplicate. Ciò vuol dire che i migranti sono un fattore determinante per lo sviluppo e per il sostentamento economico degli africani in quanto i soldi che mandano arrivano mentre i soldi che noi occidentali mandiamo sotto forma di aiuti umanitari spesso si fermano nei palazzi dei potenti. Il secondo fattore secondo me molto rilevante è che le filiere del cibo coincidono con quelle delle emigrazioni. E poi c’è un altro fattore rappresentato da quegli africani che emigrano seguendo il ciclo di alcuni prodotti alimentari o del cotone e si spostano in altri paesi. E si creano gli stessi problemi di convivenza tra africani del Nord e del Sud che si manifestano anche qui da noi: per esempio in sud Africa c’è un forte flusso migratorio perché paese relativamente ricco di opportunità di lavoro rispetto al resto dell’Africa. Ma che cosa fa il governo? Costruisce delle barriere esattamente uguali a quelle che sono state realizzate in Ungheria.

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