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Sostenibilità aziendale: con la “human satisfaction” persone soddisfatte, imprese vincenti

di Laura Campo
16 Maggio 2013

Per essere competitive le aziende devono superare l'idea del "consumatore" e rimettere al centro le persone. Marzio Bonferroni esperto di marketing e consulente d'impresa, racconta il nuovo metodo umanistico che ha ideato. Partendo dall''ascolto dei bisogni del pubblico

Marzio BonferroniIl “consumatore” non esiste (più), sostituito dal cliente-persona la cui complessità va colta a tutto tondo, nelle sue molteplici necessità. Solo le imprese che riusciranno a intercettare questi bisogni (emotivi, razionali ed etici) e a soddisfarli potranno avere buone chance di sviluppo e profitti.

È questa in estrema sintesi il “succo” della human satisfaction nuovo orientamento di business messo a punto da Marzio Bonferroni, economista fiorentino e docente universitario, esperto di studi di marketing e oggi consulente per le imprese nell’area ricerche e comunicazione. A questi argomenti Bonferroni ha dedicato, oltre numerosi articoli per quotidiani economici e riviste digitali, anche diversi libri tra cui Human Satisfaction (Ed. Franco Angeli) e La nuova era della comunicazione (Tecniche Nuove).

Come definirebbe la human satisfaction che lei ha messo a punto e a chi si rivolge?

La human satisfaction è una visione, un metodo che tende a integrare e a far evolvere la “customer satifaction” visto che questo approccio si è rivelato restrittivo, obsoleto e umanamente condizionante, perché troppo indirizzato sul consumo.

Come metodo e quindi come processo di analisi e sintesi, la human satisfaction prevede invece un attento e fondamentale ascolto delle necessità della persona-cliente nelle tre aree della psiche: emozione-ragione-etica. Bisogni che, se soddisfatti dall’impresa e dai suoi brand, generano relazione e fedeltà tra il marchio e le persone-clienti.

Una diversa definizione del profitto

Secondo questo nuovo orientamento umanistico quali sono i passi che l’impresa dovrebbe fare per individuare e soddisfare tali bisogni?

Image by © Ocean/CorbisMi spiego usando una semplice metafora: succede più o meno la stessa cosa di quando in un ristorante un cliente sceglie dal menu le portate che sono più vicine alla sua cultura e ai suoi desideri. Una volta individuati i bisogni per ogni area, vengono analizzati con metodi di ricerca motivazionale i possibili gap tra le necessità e la soddisfazione offerta dal brand per ciascuna “voce”.

In questo modo si rende oggettivo e misurabile quanto il marchio soddisfi quei bisogni specifici al di là delle opinioni e convinzioni dell’impresa che sono in genere soggettive e quindi spesso distorte.

I passi successivi, semplificando, sono l’analisi delle motivazioni che generano i gap, le raccomandazioni utili per tendere ad eliminarli, quindi la definizione dei concept di base per la strategia di comunicazione e sviluppo che l’impresa dovrà adottare per raggiungere i propri obiettivi di profitto: inteso, quest’ultimo, non più come spinta primaria alla vendita nei confronti del consumatore, bensì come risposta alle necessità rilevate.

In che modo il passaggio dalla customer alla human satisfaction porta maggiori vantaggi alle aziende?

I maggiori vantaggi per le imprese, e questo temine indica proprio l’integrazione tra azienda (l’insieme di strumenti e mezzi) e le persone che vi lavorano, (l’azienda più le persone) derivano dal passaggio di “territorio” culturale, sociale ed economico che la human satisfaction comporta: dalla vecchia logica del vendere ad ogni costo al “consumatore” per massimizzare i profitti, alla logica del servire le persone-clienti, offrendo prima di tutto ascolto e poi la risposta alle loro necessità.

È sotto gli occhi di tutti come in questi anni, non solo in campo finanziario, il vecchio modello abbia portato a enormi disastri e fallimenti di società che parevano invincibili e che hanno causato la rovina di milioni di persone.

Possiamo dire così che il maggiore grado di soddisfazione e di felicità offerto dalla human satisfaction genera maggiore relazione fiduciaria e di conseguenza un più alto grado di fedeltà da parte del pubblico. Questo passaggio di mentalità dovrebbe avvenire anche all’interno dell’azienda: anche lì se i collaboratori vengono considerati come persone  da rispettare e da amare, e non come macchine da sfruttare, l’impresa otterrà notevoli vantaggi, sia in qualità che in fedeltà.

Questo principio può ovviamente valere nei confronti di tutti gli stakeholder e se ben applicato può farci finalmente sbarcare in un nuovo territorio: quello in cui la qualità della vita sia il frutto di un rapporto umano basato tendenzialmente sui valori della soddisfazione delle necessità integrali.

Le potenzialità di sviluppo

Quali sono gli step che portano a costruire quella che lei definisce “casa della comunicazione”?

Ritengo che in una visione olistica e quindi non frammentata e dispersiva, la casa, o edificio della comunicazione possa essere una metafora, ma anche una concreta potenzialità orientata allo sviluppo di un’impresa.

Ho sempre notato come in molte imprese la comunicazione sia spesso basata su elementi più o meno estemporanei, molto emotivi se riferiti ai pubblici finali, e con una scarsa propensione alla creazione e alla valorizzazione di contenuti utili ai vari stakeholder.

Images.com/Corbis

Spesso poi la formazione e la comunicazione interna, come altre aree quali ad esempio il web, viaggiano su binari separati. Questo produce dissintonie, come se un’orchestra suonasse senza avere uno spartito unico, ma con vari spartiti per ogni strumento.

Il concetto di casa della comunicazione tende a riportare alle fondamenta sia le necessarie ricerche per comprendere le necessità degli stakeholder, sia la strategia complessiva di comunicazione e sviluppo, generata da un team multidisciplinare, che considero il vero nuovo “creativo” della human satisfaction.

Una volta fatto questo, i piani della casa potranno essere realizzati, in modo armonico e coordinato agli stessi obiettivi, per ottenere la massima soddisfazione degli stakeholder che vi abitano: al primo piano avremo la comunicazione e formazione interna per il management, i collaboratori, i fornitori, i professionisti interessati alla distribuzione e all’assistenza, gli opinion leader. Al secondo la comunicazione esterna per i vari pubblici (cui sono indirizzati prodotti e servizi dell’impresa)  formati da persone già clienti o potenzialmente tali.

 

A proposito di team multidisciplinare, quali sono i professionisti che ne possono far parte?

Intanto ribadisco che mi piace definire questo team multidisciplinare come il vero “nuovo creativo” della comunicazione d’impresa, che ha maggiori e più utili potenzialità rispetto alle vecchie tecniche pubblicitarie e a chi le realizzava.

Perchè creativi, in una visione multidisciplinare, sono tutti coloro che a vario titolo possono e devono sedersi al tavolo della multicreatività, per cercare di raggiungere la massima soddisfazione delle persone clienti e di tutti gli stakeholder dai quali dipende il profitto di un’impresa.

Per centrare l’obiettivo è necessario il contributo di discipline umanistiche diverse (filosofia, sociologia, psicologia) oltre che economiche (economia, statistica, politica economica) e di marketing (marketing, ricerche, comunicazione, media tradizionali e innovativi). Anche se non sempre tutti saranno necessari. Dipende dal tipo di progetto e dalla sua complessità.

Valore e benefici per tutti

Lei considera il passaparola, per le imprese, come il miglior mezzo di comunicazione a costo zero.  Ci può spiegare meglio che cosa intende?

Image by © ImageZoo/CorbisIl pubblico attento, soddisfatto e fedele (quello che ha ricevuto le giuste risposte alle proprie necessità) che possiamo anche chiamare “tribu’ della marca” è quello che determina la massima parte del fatturato di un’impresa e a sua volta diventa, in modo naturale con il passaparola, il miglior venditore dell’impresa stessa.

Secondo lei l’innovazione (e dunque il successo) delle imprese oltre che all’adesione a questo nuovo modello di comunicazione a quali altri fattori è legata?

La human satisfaction è anche un contributo a un’evoluzione dei vecchi modelli economici che, non reggono più perché, come ho detto, sono basati sulla massimizzazione del profitto, sull’idea di “spremere” al massimo il povero consumatore, sempre meno disposto a farsi convincere e condizionare, soprattutto in un periodo di crisi.

Per questo credo che il successo di un’impresa oggi sempre più dipenda da una grande coerenza tra visione umanistica che metta al centro la persona, (sia essa cliente o collaboratore o comunque stakeholder) e ascolto necessario per capire come agire.

A mio giudizio questo spingerà il team multidisciplinare ad adeguarsi costantemente alle nuove necessità del pubblico mettendo in atto progetti, programmi, tecniche e innovazioni utili a produrre valore, inteso come soddisfazione di bisogni, evitando di far sedere l’impresa sugli allori di possibili successi. Che, se arriveranno, dovranno essere considerati solo come un punto di partenza per una costante evoluzione creativa che tenga sempre conto del profitto di tutti: management, collaboratori e stakeholder compresi.

 

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