Wise Society : «Essere ambientalisti è una questione culturale»
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«Essere ambientalisti è una questione culturale»

di Maria Enza Giannetto/Nabu
31 Ottobre 2017

Nel saggio “Energia e clima. L’altra faccia della medaglia", il professore Alberto Clô parla delle scelte politiche in materia di energia e ambiente. E auspica un'operazione verità su rinnovabili, costi e restrizioni

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Ambientalismo e ambientalisti: secondo il professor Alberto Clô “il messaggio dal mondo scientifico è chiaro bisogna agire con urgenza ma se i governi continuano a essere presi da altre emergenze, considerando quella del clima una questione secondaria, non si va da nessuna parte, Foto: iStock

«Gli accordi climatici sottoscritti dalle potenze mondiali,  sbandierati come “svolta storica”, rischiano di rimanere parole al vento perché qualsiasi politica climatica si scontra con i lunghi cicli di sostituzione delle fonti energetiche, con i costi, le sfide tecnologiche e un sistema di valori che non accetta il cambiamento». Nel suo ultimo libro “Energia e clima. L’altra faccia della medaglia” edito da il Mulino (pagg. 240, 22 euro), il professor Alberto Clô, già professore ordinario di Economia Applicata e ministro dell’Industria e del Commercio con l’estero nel Governo Dini (1995-96), oggi direttore della Rivista Energia e tra i massimi esperti di energia al mondo, non fa sconti a nessuno e passa a setaccio la storia, le politiche, le scelte dei paesi in materia di energia e ambiente.
A partire da quello che gli Stati stanno facendo per rispettare l’Accordo di Parigi che – sottoscritto a fine 2015 da 196 Stati, è un  grande risultato diplomatico per un’azione congiunta nella lotta al surriscaldamento globale – è niente rispetto a quel che sarebbe necessario fare. Non solo, nel suo saggio Alberto Clô  analizza i passati cicli di sostituzione delle fonti energetiche, le difficoltà da superare, i costi da sostenere, i lunghi tempi per pervenire all’utopica società zero-carbon e il tutto nella consapevolezza che «a toglierci dai guai sarà la tecnologia ma che sarà necessario anche un profondo cambiamento del nostro sistema di valori. Perché – dice – benché tutti si professino ambientalisti, esserlo sul serio richiede davvero un grande sforzo».

Professor Clô, cosa vuol dire, davvero, essere ambientalisti?
Direi che oggi essere ambientalisti appare come una moda. Non si è ambientalisti se si compra un’auto elettrica  a prezzi altissimi o se si installano impianti fotovoltaici; essere ambientalisti vuol dire altro, è una questione culturale. La transizione energetica verso il dopo-fossili non è riducibile a una semplice sottrazione o addizione di fonti di energia, ovvero di rinnovabili al posto delle fossili, ma si tratta di rispetto concreto della natura, di radicamento di una cultura diversa. Esistono esempi virtuosi di queste differenze culturali, uno su tutti la Danimarca dove il risparmio energetico è una regola, oppure alcuni paesini montani del Trentino dove la raccolta differenziata non è considerata una restrizione delle libertà ma un fatto acquisito. Andare verso la transizione energetica significa mettere in atto un profondo cambiamento del sistema dei valori perché quello attuale, imperniato sul consumismo, minaccia la natura e non può essere lo stesso che potrebbe salvarla

Come si può innescare questo cambiamento?
È necessario partire da qualche domanda: siamo disposti a cambiare il nostro stile di vita? Siamo disposti ad accettare restrizioni e discontinuità? Nei sondaggi americana, la maggior parte dei democratici che si definiscono ambientalisti, risponde di no a questi quesiti. La sopravvivenza del Pianeta è un valore altissimo ma bisogna comprendere che vivere in un mondo decarbonizzato significa restringere le libertà cui siamo abituati oggi di che usiamo energia per soddisfare ogni minima esigenza. Il progetto del sindaco di Parigi, ad esempio, è quello di portare alla decarbonizzare entro il 2040, dimezzando le auto e limitando di qualche giorno la distribuzione di prodotti nei supermercati, ma bisogna fare i conti con quanto i parigini saranno disposti ad accettare misure così “punitive”. Insomma, il salto che bisogna fare tra l’essere ambientalisti su carta ed esserlo sul serio è un salto complicatissimo.

Nel nome del bene e della salute pubblica, però, forse l’imposizione è l’unica strada percorribile.
Certo. Le raccomandazioni che oggi vengono fatte per un futuro sostenibile danno però per scontato la disponibilità ad accettare restrizioni. Io sono convinto che una società zero carbon sia utopistica. Potrebbe essere un modello a cui tendere ma non esiste la possibilità concreta che si possano sostituire tutte le fonti fossili.

Il suo sembra un quadro piuttosto pessimistico.
Sono semplicemente realista. Faccio un esempio: pensiamo all’auto elettrica la cui penetrazione oggi è intorno a due milioni su un totale di più di un miliardo di auto. Anche se nel futuro aumenteranno, al di là del costo proibitivo per la maggior parte delle persone, nessuno si chiede come verrà prodotta l’elettricità in più che servirà a queste auto. Noi abbiamo un caso macroscopico di ipocrisia ambientalista che è l’Olanda dove la percentuale dell’auto elettrica è più alta che altrove, ma dove l’energia elettrica viene prodotta con centrali a carbone. Io credo nelle innovazioni e credo che proseguiranno nel loro sviluppo, ma per alimentare un parco elettrico maggiore bisogna creare un sistema produttivo e distributivo che oggi non esiste. Il rischio che nessuno voglia investire senza garanzia di redditività è concreto.

Tutto gira sempre attorno al denaro.
Nel mio libro metto in evidenza ciò che si sottace e si sottovaluta. Bisogna dirla tutta: per salvare il pianeta ci sono costi elevatissimi e questo significa che si ridurrà la nostra capacità di spesa. La retorica buonista del salviamo il pianeta è ipocrita perché dobbiamo rivelare all’opinione pubblica come stanno davvero le cose.

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Nel suo libro “Energia e clima” Alberto Clô critica anche alcuni comportamenti degli ambientalisti

E come stanno, allora, le cose?
Innanzitutto le rinnovabili non sono la panacea. L’efficienza energetica è la vera fonte d’energia perché è quella che non si consuma. È indubbio che è semplice e conveniente ridurre la produzione di energia di una tonnellata piuttosto che produrre una tonnellata di energia con fonti alternative. Inoltre, l’efficienza energetica costa molto meno sia come intervento sia come investimento. Purtroppo, però, anche se conveniente dal punto di vista economico e fattibile da quello tecnico, l’efficienza non cammina sulle sue gambe e sono necessarie manovre come detrazioni fiscali per stimolarla mentre, finora, è stata penalizzata rispetto alle rinnovabili. Una scelta errata perché investire in efficienza avrebbe sortito risultati più importanti di quelli realizzati con le rinnovabili, il cui sviluppo si è basato sempre e solo sui sussidi.

Sembra quindi che il modello perseguito finora dai governi sia destinato a fallire.
Sono onesto: è davvero complicato perché quando si parla di clima, i vantaggi sono globali ma i costi sono locali. I consumatori pagano un costo in vista di benefici sul lungo periodo e magari, però, si ritrovano poi con Paesi che non fanno la loro parte. Pensiamo al flop dell’accordo di Kyoto, ad esempio. L’Europa ha fatto il massimo: l’accordo è costato tantissimo e le imprese europee hanno sopportato costi elevatissimi che invece l’America si è risparmiata. Inoltre, Kyoto ha favorito la delocalizzazione verso paesi che non avevano normative così severe, falsando i risultati delle emissioni, cosa che è accaduta con l’Inghilterra, che ha ridotto le sue emissioni dal 1990 al 2015 del 15% ma se si tiene conto dell’attività delle imprese inglesi che si sono trasferite altrove con la conseguente importazione di beni, e si somma l’anidride carbonica incorporata nei prodotti importati ci si rende subito conto di come, forse, le emissioni a livello globale siano invece aumentate. Oggi l’ignoranza non è più ammissibile: il messaggio dal mondo scientifico è chiaro bisogna agire con urgenza ma se i governi continuano a essere presi da altre emergenze, considerando quella del clima una questione secondaria, non si va da nessuna parte.

Riallacciandoci alla sua esperienza di governo, secondo le quale sarebbe l’azione giusta da intraprendere?
Bisogna cominciare con un’operazione verità e dire come stanno davvero le cose. E poi bisogna evitare che ci sia qualcuno che guadagna eccessivamente a svantaggio della collettività. Di sicuro non penso che la strada sia sempre e comunque quella degli incentivi. Oggi, ad esempio, tutti declamano l’importanza dell’auto elettrica probabilmente nella speranza che si concretizzino sussidi in questo settore, ma tutto questo viene poi pagato dal consumatore in forma di tasse. Io credo nella tecnologia e penso che, alla fine, sarà questa a toglierci dai guai ma perché questo accada bisogna investire in ricerca e sviluppo e accrescere di molto le risorse investite che oggi sono prossime allo zero. Non si può immaginare una società diversa e un modello produttivo energetico diverso, se non si fa ricerca. Dobbiamo essere onesti, noi non possiamo fare a meno di petrolio e metano, potremo forse ridurre l’uso del carbone e ci sono tecnologie in grado di catturare il carbonio contenuto anche nelle fonti fossili, ma pensare di rispettare l’accordo di Parigi in tempi brevi e senza costi, è impossibile. Se non si fa sul serio, il rischio è che Parigi 2015 non sia una svolta storica ma parole al vento.

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