Wise Society : Alessandro Ferrari: «Orti urbani, occasione per riqualificare il paesaggio»
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Alessandro Ferrari: «Orti urbani, occasione per riqualificare il paesaggio»

di Andrea Ballocchi
5 Giugno 2015

In costante crescita, gli orti urbani contribuiscono a riqualificare aree a rischio degrado. L’importante però è pianificarli e gestirli bene, spiega l’architetto paesaggista.

Gli orti urbani avanzano in tutta Italia. Solo in Lombardia, dati Coldiretti alla mano, dal 2012 a oggi il numero degli appezzamenti ha registrato una crescita del 40%, passando da 2000 a 2.800 e sfiorando i 160.000 metri quadri di estensione.

Ma quali sono i fattori che spingono questa crescita? «Direi un insieme di concause, anche considerando che l’orto ha cambiato significato e ruolo nel corso degli anni. Non credo alla crisi economica quale aspetto prevalente, quanto invece la passione e il piacere di vedere il frutto del proprio impegno, legato alla rivalutazione e al ritorno al lavoro manuale, al contatto con la natura, non dimenticando la funzione sociale svolta dall’orto», spiega Alessandro Ferrari, l’architetto specializzato in progettazione ambientale e di aree verdi e che Wisesociety.it ha incontrato in occasione di Blandscape: nuove visioni. Una serie di incontri dedicati al tema “Nutrirsi di paesaggio” organizzati a Milano col patrocinio di Expo in Città. Ferrari, tra l’altro, è anche segretario della sezione lombarda dell’Associazione Italiana di architettura del paesaggio (Aiapp), che ospiterà nel 2016 il congresso mondiale dei professionisti del settore e collabora con Italia Nostra proprio su progetti di riqualificazione di aree da destinare a orti.

Quale ruolo e importanza assume l’orto all’interno del tessuto urbano?

Fino a non molti anni fa, quando non era un argomento di moda, l’orto urbano veniva associato più a un elemento di degrado, andando con la mente agli “orti spontanei”, abusivi, creati a ridosso di tangenziali, autostrade e ferrovie, nati dalla volontà di alcuni di auto-appropriarsi di queste aree. L’orto urbano è tutt’altra cosa: è occasione di riqualificazione del territorio e del suo presidio. Inoltre va evidenziato anche il valore di integrazione sociale, di relazioni che può generare. Tutti bisogni tipici di una società come la nostra.

Come entra in gioco la figura dell’architetto paesaggista nello sviluppo degli orti urbani?

Innanzitutto deve prevedere proprio gli aspetti di riqualificazione. La progettazione avviene su due livelli: il primo di pianificazione, ossia dove collocare l’orto, dando così un contributo all’amministrazione pubblica locale per individuare i luoghi più adatti. Si passa poi alla progettazione, che deve prevedere e curare ogni dettaglio. Nella mia esperienza professionale e, in particolare, nella collaborazione con Italia Nostra, si evidenzia l’intento di dare spazio all’autocostruzione del progetto, da parte di volontari, da realizzare in sicurezza e qui il mio ruolo di progettista è particolarmente importante in quanto vanno considerati tutti questi aspetti.

Quale è invece il ruolo dell’ente pubblico per promuovere questa realtà?

Data la difficile situazione economica in cui si dibattono i comuni, diventa vantaggiosoImage by Sergei Bachlakov/Corbis per gli enti pubblici dare la propria disponibilità, insieme ai cittadini, a fronte di un progetto su aree vocate. La partecipazione dei volontari è costante, come dimostrano gli esempi a Milano che ho seguito. E certamente l’azione di un’associazione quale Italia Nostra è importante per il controllo per la gestione razionale.

Quali sono gli aspetti basilari che considera nel progettare un’area destinata a orto urbano?

Innanzitutto, occorre avere disponibilità di acqua, non potabile, ma acqua di canali o di resa da impianti quali pompe di calore, quindi va privilegiata la sostenibilità. Inoltre ci devono essere parti comuni, che può essere il capanno ma anche una sala, dove si privilegia la convivialità e la condivisione. Un’area altrettanto comune è il frutteto, dove accostare più piante così che la loro produzione venga distribuita in più famiglie. Poi si considerano spazi che prevedano al massimo una trentina di parcelle, così che possano essere facilmente gestibili e dove si possa contare su sufficiente “forza lavoro”.

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