Wise Society : La carta che non t’aspetti arriva dallo Sri Lanka

La carta che non t’aspetti arriva dallo Sri Lanka

di Mariella Caruso
26 Marzo 2015

Processata a partire dalle deiezioni degli elefanti, è realizzata a mano con un processo innovativo.

C’è chi ha cominciato a rendere sostenibile la produzione di carta utilizzando materiale di riciclo nell’impasto. È così che bucce di arance, crusca e alghe – per fare qualche esempio – sono entrate in cartiera. Nello Sri Lanka, però, sono andati oltre: c’è chi produce carta in cui l’ingrediente principale non è la cellulosa, ma la cacca di elefante, naturalmente ricca di fibre. Noi di Wise Society l’abbiamo scovata nel piccolo stand della Cooperativa Vagamondi a “Fa’ la cosa giusta”.

L’IDEA – La “Elephant Dung Paper” arriva dalla Sri Lanka, dove viene prodotta sin dal 1997 nell’ambito del progetto “Eco Maximus”. Il suo ideatore si chiama Thusitha Ranasinghe e tutto è cominciato pensando alla tutela degli elefanti di quel Paese. Non è un caso che il laboratorio, oggi diventato una piccola fabbrica, dove la carta viene realizzata completamente a mano si trovi a due passi dalla “Millennium Elephant Foundation“, vicino a Kegalle, luogo che ospita anche l’orfanotrofio degli elefanti di Pinnawela, che accoglie gli elefanti non più in branco e quindi destinati a morire da soli. Ranasinghe cominciò col riciclare la carta e altri materiali per evitare che finissero nelle discariche. A quel punto gli venne naturale pensare che il rifiuto più abbondante nella sua isola fosse la cacca di elefante. Ogni elefante adulto, infatti, ne produce in media 180/200 kg al giorno. Un bene prezioso, e totalmente gratuito, che l’illuminato imprenditore ha deciso di utilizzare in maniera alternativa.

LA LAVORAZIONE – La cacca, che non puzza perché il ciclo digestivo dell’elefante è molto veloce perché il suo stomaco è molto corto, viene raccolta e seccata al sole, poi bollita con un disinfettante naturale. Dopo di che viene impastata con acqua, carta riciclata e l’eventuale colore, rigorosamente di origine naturale, necessario. Il composto viene posato su un tavolo, passato sotto un rullo che ne elimina l’acqua e lo trasforma in un foglio che, dopo essere stato asciugato al sole, è pronto per essere utilizzato.

“CARTA DELLA PACE” – La “Elephant Dung Paper” non è soltanto un prodotto commerciale. Con la sua produzione e vendita, infatti, la “Millennium Elephant Foundation” sta cercando di educare a popolazione cingalese a rispettare i propri elefanti che vengono uccisi perché rendono difficili le attività agricole dell’Isola. Dal 1950 ad oggi la popolazione degli elefanti cingalesi è calata di 4.000 esemplari. A finire gli elefanti, non sono i bracconieri avidi di zanne, ma i contadini preoccupati che gli elefanti sconfinino nei loro campi. Se, invece, gli elefanti diventassero parte dell’economia del paese con lo sfruttamento della loro “popò” la percezione dei contadini nei loro confronti potrebbe cambiare.

IN ITALIA – A distribuire la carta in cacca di elefante in Italia è Davide Bertelli, un emiliano 48enne, presidente della cooperativa Vagamondi. «Collaboro da molto tempo con le suore delle Figlie della Provvidenza per le sordomute che gestiscono una scuola nello Sri Lanka. Organizzavo delle raccolte fondi, vendendo manufatti del laboratorio delle mamme dei ragazzi, per permettere loro di ampliare la scuola – racconta Davide -. Tra questi dei bellissimi fiori in carta che utilizzavo per confezionare bomboniere solidali che, con grande sorpresa, scoprì essere fatti in carta di elefante. A quel punto, d’accordo col produttore e considerata la valenza sociale del progetto, decisi di importarla in Italia».

CARTOLERIA “ALTRE CACCHE” – Davide, però, non si è fermato qua. Il suo sogno è aprire una “pootique” perché, nel frattempo, s’è imbattuto (non per caso) nel progetto thailandese “Poopoopaper”, ovvero carta realizzata non solo con cacca di elefante, ma anche di mucca, cavallo, asino e alce, fondato da un imprenditore canadese che opera nel mercato solidale. «Il claim è “Brown is the new green” – conclude -. So che può sembrare un po’ forzato, ma il riciclo va bene per tutto».

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