Wise Society : Vado a vivere in un ecovillaggio: le realtà in Italia

Vado a vivere in un ecovillaggio: le realtà in Italia

di Olivia Rabbi
20 Giugno 2013

C’è sempre più voglia di vivere fuori dagli schemi di una società consumistica e alienante, che spinge all’isolamento, cercando nuove modalità di abitare in stretto rapporto con la natura e con un diverso equilibrio fra spazio privato e spazio comunitario. Sono solo alcuni dei motivi che stanno spingendo coppie, famiglie e single verso l’esperienza degli ecovillaggi, termine di derivazione anglosassone che indica comunità basate su condivisione e approccio ecologico spiccati.

Torri Superiore

Ecovillaggio di Torri Superiore

Ecovillaggi in Italia

Un profilo unico non c’è, la mappa italiana degli ecovillaggi – secondo la Rete italiana villaggi ecologici Rive (www.mappaecovillaggi.it) che a oggi ne conta 23 – svela un universo multiforme e variegato, senza una matrice ideologica unica, ma con un punto fermo in comune: condividere non solo la quotidianità e le diverse attività ma dare vita a una microsocietà ecosostenibile per l’autoproduzione e l’autosufficienza, anche energetica, nella quale il vero patrimonio comune sono i saperi, le conoscenze e le esperienze.

Sarà anche per colpa (o merito) della crisi economica, ma l’idea di avvicinarsi alla vita in ecovillaggi è in crescita, e non solo per brevi periodi di vacanza.

Comune di Bagnaia di Ancaiano-Sovicille

Nata da un’idea di condivisione e vita di gruppo basata su comprensione, rispetto reciproco e collaborazione, la Comune di Bagnaia di Ancaiano-Sovicille (Siena), nata nel 1979, conta una ventina di residenti che praticano la totale condivisione dei beni e il rifiuto della proprietà privata.

L’associazione “La Comune di Bagnaia Onlus”, a proprietà indivisa, gestisce e redistribuisce i ricavi. «Ognuno di noi riceve un contributo mensile per le spese personali»,  racconta Alfredo Camozzi, presidente della Comune, «mentre il resto dei bisogni personali, come salute, scuola, trasporti, è gestito dalla onlus».

A ciascuno il compito di collaborare in prima persona ai turni di cucina e pulizie. L’organizzazione interna è assembleare e le decisioni sono prese all’unanimità. Alla gestione del podere agricolo da 80 ettari per orti, frutteti, vigne, olivi, compreso l’allevamento di animali (pollame e maiali), per l’autosufficienza alimentare e la vendita di prodotti bio, si affianca il lavoro esterno alla comunità.

Ad accogliere le attività della Comune è un casolare recuperato utilizzando le tecniche costruttive della tradizione locale e della bioedilizia, cui si aggiungono pannelli solari e fotovoltaici per l’energia “verde”. «Nella Comune abbiamo spazi per le attività collettive e ognuno ha una propria camera, nella quale vivere da soli o insieme ad altri, perché ciascuno possa avere spazi individuali e nello stesso tempo armonizzarsi nel gruppo», aggiunge Camozzi.

Torri Superiore in Liguria

Comunità Torri Superiore

Comunità di Torri Superiore

Da borgo contadino medievale abbandonato nell’entroterra di Ventimiglia, in Liguria, a ecovillaggio a vocazione turistica: Torri Superiore contava un solo abitante quando, nel 1989, due privati sensibili ne avviano il recupero con l’acquisto delle prime porzioni immobiliari.

Nello stesso anno nasce l’associazione culturale Torri Superiore, per coniugare nuova socialità e  rilancio del patrimonio storico. Il cuore della comunità è la struttura ricettiva da quattro piani e una ventina di posti letto, aperta da marzo all’Epifania. «Siamo persone che condividono un progetto, ognuno con le proprie ragioni», spiega Massimo Candela, legale rappresentante della Cooperativa Ture Nirvane che gestisce le attività eco-turistiche, «viviamo in una società che spinge a vivere da soli, lo “stare insieme” invece è tutto da costruire».

A Torri Superiore abitano 25 persone, dieci i bambini; ognuno versa una quota fissa per gli spazi condivisi e le spese del cibo, consumato in modo conviviale.

Al turismo si affianca la coltivazione di orti, frutteti e piccoli allevamenti. In 15 anni di lavori il restauro ha coinvolto artigiani del posto e stranieri, residenti che hanno autocostruito la propria casa e volontari, usando i materiali della tradizione costruttiva locale come la calce e la pietra, insieme con isolanti naturali come il sughero e la fibra di legno. Il riscaldamento a legna si abbina ai pannelli solari, e si guarda anche al fotovoltaico.

Arcipelago Sagarote

Un luogo che mira a promuovere un nuovo modello di vita sostenibile e di autosostentamento, per migliorare la qualità della vita e consolidare valori umani di solidarietà e uguaglianza, dove il mondo degli “ugual-abili” è in contatto con quello dei “divers-abili” in modo naturale e lieve.

“Casa di Ioio”, un modulo abitativo autocostruitoEcco la descrizione dell’associazione di volontariato Arcipelago Sagarote, che a Diamante (Cosenza) ha creato un ecovillaggio recuperando una vecchia costruzione di cemento armato mai completata, con 7 ettari di terreno intorno.

Il rapporto armonico fra uomo e ambiente si fonda sul mix fra natura, animali, incontro, teatro, orti, video, artigianato artistico, musica, laboratori, terapia con gli asini, accoglienza, marionette e attività ludiche.

Con quattro residenti stabili, l’ecovillaggio è meta di arrivo ogni anno di molti volontari da tutto il mondo, grazie al Woofing. «Le nostre attività ci aiutano per il recupero e il sostegno delle persone con problemi di disabilità», spiega Luciana Virginia Pasetto, che si è trasferita da Verona insieme con il figlio Gregorio, affetto da sindrome di Down.

Attraverso la natura e il recupero di antichi lavori l’integrazione delle persone con disabilità avviene in modo naturale. «Natura e animali possono avere un effetto benefico su persone che hanno bisogno di un tempo diverso», aggiunge. Accanto all’abitazione principale restaurata con materiali di riciclo naturali ha preso forma la “Casa di Ioio”, un modulo abitativo autocostruito in collaborazione con Ced Terra (usando terra, juta e tegole) utilizzato per le attività di laboratorio con i bambini.

Villaggio di Upacchi

Dodici famiglie insediate stabilmente. Quattro le case “di vacanza” non abitate tutto l’anno. Ecco il Villaggio toscano di Upacchi, vicino ad Anghiari (Arezzo). Il patrimonio originario, tranne il centro comune, la sorgente d’acqua e i parcheggi, è stato privatizzato nel 2002, quando la cooperativa che aveva dato il via al progetto di reinsediamento è stata sciolta per difficoltà di gestione.

Malgrado il ricambio parziale degli abitanti, l’impronta iniziale è rimasta: un vecchio borgo contadino recuperato in base un’idea di comunità alternativa vicina all’ambiente e a una nuova socialità all’insegna del “buon vicinato”. «Non è stato possibile portare avanti l’idea originaria: all’epoca eravamo entusiasti e abbiamo sottovalutato l’importanza delle relazioni interpersonali», dice Eva Klotz, fra i fondatori della comunità. Gli abitanti coltivano erbe officinali, orti e frutteti, producono stufe d’argilla, si occupano di educazione, comunicazione e progetti di ospitalità naturale.

La ristrutturazione dell’abitato ha coinvolto abitanti, artigiani e aziende della zona con l’impiego di pietra e legno; per l’autocostruzione del centro comune, che oggi ospita iniziative per il tempo libero, feste, concerti, cucina comunitaria e attività culturali, i residenti hanno usato paglia, legno e argilla. «L’esperienza non andata a buon fine mi ha spinto personalmente a studiare la comunicazione e la sua importanza, perché non si ripeta l’errore che abbiamo fatto noi all’inizio. E quindi per me è stata comunque un’occasione di crescita. Oggi vedo che c’è molta più consapevolezza in chi percorre strade simili alla nostra».

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