Wise Society : L’Italia dei veleni in attesa di bonifica

L’Italia dei veleni in attesa di bonifica

di Mariella Caruso
31 Gennaio 2014

Legambiente ha fotografato la situazione dei 100.000 ettari avvelenati dai rifiuti industriali nel dossier “Bonifiche dei siti inquinati: chimera o realtà”: «In 15 anni pochi risultati concreti»

L’Italia dei veleni sembra non finire mai. Dal Nord al Sud, isole comprese, non c’è angolo del Belpaese del quale non si possano raccontare storie di inquinamento: da Venezia Porto Marghera a Napoli Orientale, da Mantova a Milazzo, da Laguna di Grado e Marano a Porto Torres e così via dicendo. Una superficie che raggiunge i 100.000 ettari avvelenati da rifiuti industriali di ogni tipo se si considerano soltanto i 39 siti di interesse nazionale (Sin) del Programma nazionale di bonifica che ha fatto il suo debutto nel 1998. A questi, però, bisogna aggiungere i 18 Sin declassati nel 2013 a siti di interesse regionale, tra cui il litorale Domizio Flegreo e Agro Aversano del quale fa parte l’ormai celeberrima “Terra dei fuochi”, e gli altri 6.027 siti potenzialmente inquinati censiti a livello locale.

IL DOSSIER DI LEGAMBIENTE. Quest’Italia dei veleni è stata fotografata nel dossier di LegambienteBonifiche dei siti inquinati: chimera o realtà” a cura di Stefano Ciafani, Andrea Minutolo e Giorgio Zampetti presentato a gennaio 2014. Duecento pagine per fare il punto sullo stato dell’arte del risanamento che, nella maggior parte dei casi, è ancora in fare progettuale; sui rischi per la salute emersi dai risultati dello Studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio d’inquinamento (Sentieri) e sulle infiltrazioni criminali in un business che produce un giro d’affari di 30 miliardi di euro. Intanto, nonostante i 3,6 miliardi di euro di investimenti pubblici e privati, messi in campo dal 2001 al 2012 non sono stati ottenuti risultati degni di nota. «La bonifica dei siti inquinati in Italia, purtroppo, è ancora una chimera», attacca Giulio Zampetti, responsabile scientifico di Legambiente che è tra i curatori del dossier.

Dal 1998 una mole incredibile di documenti, pochi risultati concreti

SITI NAZIONALI E SITI REGIONALI. «La differenziazione tra Sin e siti di interesse regionale, con il trasferimento delle competenze alle Regioni, ha l’obiettivo di snellire, almeno sulla carta, le procedure per le bonifiche in caso di inquinamento meno grave», spiega il dirigente. Su alcuni dei declassamenti effettuati, però, Legambiente ha presentato ricorsi al Tar «perché è stata sottovalutata la complessità della situazione». Tra questi, elenca Zampetti, c’è anche quello dell’«Agro Aversano, dove ricade la “terra dei fuochi”, cui si aggiungono la discarica di Pitelli in Liguria, dove sono stati smaltiti rifiuti tossici; le discariche di Frosinone e della Valle del Sacco, sempre nel Frusinate, in cui si unisce il problema degli stabilimenti industriali della zona con quello del fiume che ha fatto da veicolo per gli inquinanti dell’allora Caffaro».

COSA È STATO FATTO DAL 1998 A OGGI. «La situazione delle bonifiche dei siti inquinanti è praticamente in stallo», ammette Zampetti. «Soltanto 11 Sin su 39 hanno completato la caratterizzazione, ovvero le indagini che servono a identificare tipo e livelli d’inquinamento. Solo per 3 siti sono stati approvati progetti di bonifica completi, gli interventi, però, non sono ancora partiti. Negli altri casi abbiamo una mole incredibile di documenti – 1500 conferenze di servizi, 22.800 elaborati – che non si riescono a concretizzare in interventi efficaci. Più che sugli interventi, infatti, si è lavorato molto sulla parte burocratica», continua Zampetti. I motivi? «La carenza di personale e la complessità di gestione di alcuni siti come Priolo o Porto Marghera. In questi ultimi mesi, però, sembra esserci un’attenzione maggiore da parte delle istituzioni – ammette – e si spera che l’iter delle bonifiche possa essere velocizzato attraverso opportuni accordi di programma».

La lunga mano della criminalità e le indagini epidemiologiche

ILLEGALITÀ E CRIMINALITÀ. A mettere i bastoni tra le ruote agli interventi è anche l’illegalità diffusa, di stampo criminale e non, che interessa il business delle bonifiche e dello smaltimento dei rifiuti. Dal 2002 a oggi sono state 19 le indagini su smaltimenti illegali di rifiuti derivanti dalla bonifica di siti inquinati effettuate da 17 diverse Procure della Repubblica, sono state emesse 150 ordinanze di custodia cautelare, denunciate 550 persone e 105 aziende coinvolte. «La maggior parte degli illeciti è connessa alle attività di bonifica, intese soltanto come spostamento di materiali contaminati da un luogo all’altro e non attraverso interventi a tecnologia avanzata», puntualizza Zampetti. Questo ha comportato «l’inquinamento di altri siti per lo smaltimento illegale come capita nella “Terra dei fuochi” dove c’è inquinamento di tipo industriale in assenza di industrie». Altro esempio, invece, sono illeciti come il declassamento dei rifiuti da pericolosi a non pericolosi. «Per questo – ricorda Zampetti – lo scorso 22 gennaio è stato arrestato Luigi Pelaggi, commissario straordinario dell’area dell’ex Sisas di Pioltello Rodano, nonché capo della segreteria tecnica dell’ex ministro Prestigiacomo».

LE INDAGINI EPIDEMIOLOGICHE. L’inquinamento ambientale ha implicazioni drammatiche sulla salute. Il profilo sanitario delle popolazioni che risiedono in 44 Sin tracciato dal progetto Sentieri, coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità, non lascia adito a dubbi. Si va dall’eccesso dei tumori della pleura nei Sin contaminati dall’amianto agli incrementi della mortalità per tumore o per malattie dell’apparato respiratorio per le emissioni degli impianti petroliferi, petrolchimici, siderurgici e metallurgici. Dalle malformazioni congenite alle patologie del sistema urinario, dall’eccesso di patologie neurologiche per l’esposizione ai metalli pesanti e composti alogenati, fino ai linfomi non Hodgkin da contaminazione d Pcb. Possibile che questi dati non abbiano smosso le coscienze? «Le coscienze si sono smosse, specialmente sui territori dove sono presenti associazioni di cittadini, comitati, medici e sindaci che stanno contribuendo a far conoscere il problema – chiarisce Zampetti -. Quello che non si è riusciti a ottenere è una maggiore rapidità di intervento per le bonifiche visto che, come dimostrano alcuni studi fatti nelle zone di Gela e Priolo, i danni da inquinamento si stratificano anno dopo anno».

Le proposte di Legambiente per avviare concretamente le bonifiche

LATITA L’IMPEGNO DEI PRIVATI NEL RISANAMENTO. Oggi occorre che anche il settore industriale faccia la propria parte mettendo il risanamento ambientale nei proprio piani d’investimento. Ilva a parte, c’è il caso della Syndial di Crotone, che ha ritardato la bonifica a suon di ricorsi, o dell’ex Enichem di Pieve di Vergonte che avrebbe dovuto chiudere già dal 2006 un vecchio impianto cloro-soda con tecnologia al mercurio che, invece, è ancora attivo. C’è la Stoppani di Cogoleto che ha ritardato a tal punto che oggi a occuparsi della bonifica è il commissario fallimentare della stessa azienda che ha chiuso i battenti. Senza risanamento non c’è possibilità di far ripartire quei siti industriali che, oggi, utilizzando tecnologie inquinanti non possono essere economicamente competitivi. Anche il progetto di Matrica, una joint venture costituita da Versalis e Novamont, per l’avvio di una bioraffineria a Porto Torres, non può partire senza il completamento della bonifica del sito.

LE PROPOSTE IN CIMA ALLA LISTA. Sono dieci le proposte fatte da Legambiente per avviare concretamente le bonifiche delle aree. Di queste quali sono le tre in cima alla lista? «Rendere più conveniente l’applicazione della bonifica in situ. Istituire un fondo nazionale alimentato dalle stesse aziende da utilizzare nei territori “orfani”, che non hanno più un padrone e devono essere bonificate con fondi pubblici. Introdurre nel codice penale il reato delitto ambientale, anche in assenza di coinvolgimento, certificato o meno, della criminalità».

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