Wise Society : La fecondazione assistita compie 40 anni

La fecondazione assistita compie 40 anni

di Fabio Di Todaro
25 Luglio 2018

Numeri, storie e opportunità di una scoperta straordinaria che valse il premio Nobel a Robert Edwards, il primo medico che la sperimentò

fecondazione assistita, robert edwards, fivet

Il primo intervento di fecondazione assistita fu fatto 40 anni fa dal medico Robert Edwards che ha cambiato il corso della demografia in Occidente, Foto: iStock

Oggi 25 luglio 2018 Louise Brown, la prima bambina nata in provetta, festeggia i primi 40 anni. Fu lei, nell’estate 1978, il «frutto» della gravidanza senza precedenti (nell’uomo) ottenuta da una fecondazione assistita. I suoi genitori, Lesley e John, hanno ringraziato per anni Patrick Steptoe e Robert Edwards, con quest’ultimo che, grazie all’ideazione della fecondazione in vitro con il trasferimento dell’embrione, nel 2010 ottenne il Premio Nobel per la Medicina. A oggi sono più di otto milioni i bambini venuti alla luce in tutto il mondo. In Italia nel 2016, ultimo anno a cui fanno riferimento i dati inseriti nella relazione annuale sullo stato di attuazione della Legge 40 del 2004 in materia di Procreazione medicalmente assistita, i bambini nati vivi sono stati 12125: il 2,5 per cento del totale nazionale. I numeri sono sostanzialmente invariati rispetto al 2015. Si conferma la tendenza secondo cui il maggior numero dei trattamenti di fecondazione assistita viene effettuato nei centri pubblici e privati convenzionati. Infatti, nonostante i centri di procreazione medicalmente assistita privati siano in numero superiore a quelli pubblici (101 rispetto a 64), nel privato si effettuano meno cicli di trattamento. Dato positivo quello del calo delle gravidanze gemellari e trigemine, mentre resta stabile l’età media delle donne che si rivolgono alle tecniche di fecondazione assistita a fresco senza donazione di gameti: 36,8 anni, mentre la percentuale di donne con 40 anni o più che afferiscono a queste tecniche è in constante aumento e nel 2016 ha rappresentato il 35,2 per cento.

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Fivet, Icsi, crioconservazione, fecondazione eterologa: oggi le possibilità per avere un figlio con la fecondazione assistita sono molteplici, Image by iStock

UN VENTAGLIO DI OPPORTUNITÀ – Sono diverse le tecniche di procreazione medicalmente assistita utilizzate. La più semplice – detta anche di primo livello – è l’inseminazione intrauterina: il seme maschile viene introdotto nell’utero contemporaneamente al monitoraggio dell’ovulazione della donna, per favorire l’incontro dei due gameti. La Fivet – che portò Edwards ad aggiudicarsi il Nobel – prevede una stimolazione farmacologica dell’ovaio al fine di produrre più ovociti, subito dopo messi in coltura con un numero molto alto di spermatozoi. Una volta formatosi, l’embrione viene impiantato nell’utero nelle 72 ore successive alla fecondazione. L’iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo (Icsi) consiste nell’inoculo dello spermatozoo selezionato nel citoplasma dell’ovocita. Si tratta di una metodica utile soprattutto nei casi più gravi di infertilità maschile. Discorso diverso è quello della crioconservazione (il congelamento dei gameti), utilizzato anche nei confronti dei malati oncologici che intendono preservare la fertilità. In più in Italia, dal 2014, è possibile ricorrere alla fecondazione eterologa. I dati dicono che, a oggi, sono poco più di duemila i bambini nati in Italia con questa metodica. I numeri del 2016 segnalano un aumento del ricorso all’eterologa, che però risulta ancora condizionata da due ostacoli: la penuria di donatori (soprattutto di ovociti) e la disomogeneità nell’accesso ai servizi sanitari. Non in tutte le Regioni, infatti, le cure sono gratuite, sebbene il percorso terapeutico sia previsto nei «Livelli essenziali di assistenza» per le donne sotto i 43 anni. Fino a quest’età, e per un massimo di tre cicli, il trattamento è a carico del Sistema sanitario nazionale, poi si deve pagare.

LA GRAVIDANZA DEVE ARRIVARE IN TEMPO UTILE – Le cause dell’infertilità possono essere diverse. Si va dall’età avanzata con cui si ricerca il primo figlio, particolarmente rilevante per le donne, ma significativa secondo alcuni studi anche per l’uomo, all’uso di droghe. Non sono esenti da responsabilità nemmeno l’abuso di bevande alcoliche, le infezioni sessuali e gli squilibri nel peso corporeo: tanto l’obesità quanto la magrezza eccessiva sono responsabili di squilibri ormonali che possono compromettere la fertilità, in entrambi i sessi. C’è poi un altro problema. Spesso le donne italiane arrivano tardi alla diagnosi di infertilità. L’età media delle donne che si rivolgono ai centri specializzati è passata dai 35,4 anni nel 2005 ai 36,6 anni nel 2013. In molti casi c’è l’errata convinzione che il progresso registrato nelle tecniche di procreazione medicalmente assistita sia una garanzia con cui ovviare alla riduzione della fertilità che si registra con il passare degli anni. Ma la scienza non dice questo. Non è un caso che quasi tutti gli esperti siano contrari al «social freezing», a cui sopratutto nel mondo anglosassone molte donne ricorrono per rimandare la gravidanza, senza per questo limitare in maniera drastica le probabilità di successo. «L’esito non è scontato e, oltre all’età dell’ovocita, che risulta fermata, esistono anche altri fattori che possono compromettere una gestazione – è il pensiero di Eleonora Porcu, responsabile del centro infertilità e procreazione medicalmente assistita del Policlinico Sant’Orsola Malpighi di Bologna -. Occorre quindi ripensare il concetto di fertilità: la prima gravidanza dovrebbe essere portata a termine entro i 35 anni della donna».

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In Italia nel 2016 – ultimo anno a cui fanno riferimento i dati inseriti nella relazione annuale sullo stato di attuazione della Legge 40 del 2004 in materia di Procreazione medicalmente assistita – i bambini nati vivi da fecondazione assistita sono stati 12125, Image by iStock

PRESERVAZIONE DELLA FERTILITA’ IN ONCOLOGIA – Discorso diverso invece quello delle persone che si ammalano di cancro in età fertile e decidono di avere un figlio dopo la fine delle terapie. Le cure oncologiche, in molti casi, compromettono la possibilità futura di avere figli. La strategia, per una donna in età fertile che lo desidera, è quella di correre ai ripari prima dell’inizio delle terapie: prelevando gli ovociti o mettendo al sicuro il tessuto ovarico (procedura però ancora sperimentale). A disposizione degli oncologi ci sono anche tecniche chirurgiche conservative e il ricorso a farmaci che proteggono le gonadi (ovaie) dai danni della chemioterapia. Una chance in più per chi deve iniziare subito le cure anticancro e non ha modo di sottoporsi al prelievo degli ovociti. Nelle donne giovani, che si trovano ad affrontare la malattia in una fase della vita in cui devono ancora compiere scelte cruciali per il proprio futuro, questo aspetto aiuta a mantenere una progettualità che prima era spesso inesistente. Non è un caso che ci siano pazienti con più di trent’anni che optano per il congelamento degli ovociti pur non avendo un compagno. Tutti gli studi finora condotti su uomini e donne sottopostisi a tecniche di procreazione medicalmente assistita hanno escluso un aumento del rischio di ammalarsi di cancro – sopratutto degli organi deputati alla produzione dei gameti: ovaie e testicoli, ma gli studi condotti sulle donne hanno fatto luce anche rispetto ai tumori al seno e all’endometrio – negli anni successivi.

Twitter @fabioditodaro

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