Wise Society : “Home Food”: la cucina di una volta a casa delle Cesarine

“Home Food”: la cucina di una volta a casa delle Cesarine

di Francesca Tozzi
4 Agosto 2011

A chi non piacerebbe, magari in vacanza, poter gustare l'autentica cucina locale in un ambiente accogliente e informale? Ora è possibile, grazie all’Associazione per la tutela e valorizzazione del patrimonio culinario gastronomico tipico d'Italia, fondata da una sociologa bolognese e apprezzata anche Oltreoceano. Perchè il buon cibo è anche difesa di identità, cultura e socialità

In un celebre film del 1987, Il pranzo di Babette, gli abitanti di un piccolo villaggio della Danimarca, poco avvezzi ai piaceri terreni, vengono sedotti e inebriati dal pranzo luculliano che la protagonista, un tempo grande cuoca, organizza per loro, dando fondo a tutto il suo denaro. Cibo come veicolo di valori, pensieri e sentimenti: identità, dono, condivisione, appartenenza a una cultura e a una comunità, legame con la terra e incontro con il diverso. La stessa parola “consumo” (dal latino cum e sumo), assumo insieme, fa riferimento a questa dimensione conviviale e comunicativa anche se è difficile che un’esperienza sola ne metta insieme tutte le valenze.  Difficile, ma non impossibile visto che oggi si può essere ospiti di una famiglia in diverse località italiane e condividere con la padrona di casa i segreti della sua cucina e del territorio, gustandone le specialità immersi in un’atmosfera calda, informale e accogliente. A offrire questa possibilità è il progetto Home Food, patrocinato dal Ministero delle Politiche Agricole e da varie Regioni italiane, con la collaborazione dell’Università di Bologna, che si propone di creare un circuito virtuoso, nel quale antiche ricette, senso dell’ospitalità, valorizzazione del prodotto tipico, garanzia di qualità e sicurezza si fondono in una proposta che caratterizza e distingue non solo la Regione, ma la singola Provincia e lo specifico territorio.

 

Cuoche speciali

Una cosa è comportarsi da turisti standard e finire in un ristorante qualsiasi, magari affollato e costoso, un’altra è far tappa, durante una breve vacanza o un week-end, a casa di una signora del posto che quel posto lo conosce bene. Ed è proprio questo lo spirito alla base di Home Food, ideato da Egeria Di Nallo, professore ordinario di sociologia all’Università di Bologna, che in passato ha lavorato anche come antropologa nella Selva Amazzonica, e che nel 2004 ha fondato l’Associazione per la tutela e valorizzazione del patrimonio cucinario gastronomico tipico d’Italia. E quale modo migliore di conoscere i piatti di gastronomia tipica locale che farseli preparare da speciali cuoche casalinghe, ribatezzate Cesarine? Il nome è stato scelto in omaggio a tutte le nonne, le dade, le zie, che hanno allietato di sapori la nostra infanzia. Ogni Cesarina prepara un solo menù nel quale si è specializzata e che di solito nasce dall’incontro delle tradizioni locali con la sua storia personale: un ingrediente scoperto per caso girovagando per la campagna, un piatto di cui si è innamorata cambiando città o anche solo una ricetta che la lega affettivamente a un membro della sua famiglia.

 

Una pagina anche sul New York Times

Americani e inglesi si sa sono tra i migliori estimatori dell’enogastronomia made in Italy, ed è stato proprio uno straniero, giornalista, a essersi incuriosito su questa iniziativa, e ad aver chiesto di fare parte dell’Associazione per la tutela e valorizzazione del patrimonio cucinario gastronomico tipico d’Italia. Gli Ospiti, così come le Cesarine, sono, infatti, tutti associati. In incognito ha visitato luoghi sperduti e isolati dell’Abruzzo, vivendo l’esperienza dell’ospitalità presso una famiglia nella località di Abbateggio (in provincia di Pescara).

Nicoletta, la Cesarina del luogo, propone il piatto tipico dei giorni festivi, la pasta “allu carratore” (alla chitarra, un attrezzo tradizionale abruzzese) con sugo d’agnello a seguire agnello con patate e contorno di “foie strascinat”, verza cotta in padella con aglio olio e peperoncino. Conclude il pasto la pizza sbattuta: pan di spagna molto alto, soffice e delicato, reso ricco e goloso da strati di crema. Il giornalista ne resta affascinato e nel supplemento Travel del NY Times pubblica un articolo nel quale racconta quell’esperienza con tanto calore che le richieste di essere ospitati da Nicoletta si sono moltiplicate ben oltre i posti disponibili…

 

Un’iniziativa sostenibile

«Il cibo permette di collegarsi a monte al territorio e al lavoro dell’uomo che lo produce, a valle alle varie interazioni sociali delle quali fa parte e permette  di creare un ponte con il passato e la storia del proprio e di altri territori» spiega Egeria Di Nallo,«ma anche di consolidare il senso del presente e di aprirsi al futuro con particolare riferimento all’ambiente e alle generazioni che verranno». Così si collegano al cibo non più solo temi relativi alla qualità e convenienza, che spesso vanno a discapito di un uso ragionevole delle risorse complessive del Pianeta, ma argomenti come la partecipazione, l’etica, l’appartenenza, l’identità, il senso del vivere sociale e individuale: in altre parole i temi che connotano la civiltà di un popolo e di un’epoca insieme a un nuovo modo di intendere la felicità. Conclude Di Nallo: «Nell’esperienza Home Food il cibo diventa l’elemento percettivo di metafore in cui il buono travalica il confine organolettico, per declinarsi a vari livelli di senso. Insomma, buoni cibi per buoni pensieri».

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