Wise Society : Cura artigianale e agricoltura a km zero: vola la birra italiana

Cura artigianale e agricoltura a km zero: vola la birra italiana

di Andrea Ballocchi
20 Settembre 2016

L’export nazionale è quadruplicato in dieci anni, sospinto dal boom dei microbirrifici. La qualità paga e premia, come dimostra il caso dell’azienda agricola La Morosina

Birra italiana, km zero

Filippo Ghidoni de La Morosina produce birra italiana artigianale

È un vero boom quello delle “bollicine”. Intendiamo quelle della birra italiana che, secondo un’analisi di Coldiretti su base Istat, ha quadruplicato il proprio export in dieci anni.

In Germania e in Olanda, Paesi dalla grande tradizione birricola, le esportazioni italiane hanno segnato un +49%: un balzo in avanti decisamente significativo che assume connotati trionfali se si pensa che nella patria della birra trappista, il Belgio, le vendite italiane sono decuplicate.

Come ha sottolineato l’associazione agricola, sono le piccole realtà che hanno contribuito al successo del made in Italy, parlando di un vero e proprio boom dei microbirrifici artigianali, passati in dieci anni da una trentina di realtà circa al migliaio attuale, con una produzione stimata in 45 milioni di litri.

I birrifici artigianali italiani hanno saputo imporsi anche in diversi concorsi dedicati, nazionali e internazionali. L’unico neo: nel nostro Paese manca una definizione certa di “artigianale”. Una lacuna in parte colmata dall’esistenza di un protocollo certo sulla birra agricola. Stiamo parlando della denominazione fissata da un decreto ministeriale (212/2010): qui, in sintesi, è scritto che i produttori di questa tipologia birricola devono realizzare la birra utilizzando almeno il 51% di materia prima propria.

IL CASO LA MOROSINA – C’è chi quella percentuale l’ha elevata di molto: si tratta dell’Agribirrificio La Morosina, ad Abbiategrasso (Milano). Si tratta di una realtà con una storia relativamente recente nel settore, ma conta su un passato pluridecennale quanto a vocazione agricola: «Hanno cominciato i miei nonni a coltivare la terra, occupandosi principalmente della produzione di formaggi tipici locali», spiega Filippo Ghidoni, 26 anni, titolare e ideatore della trasformazione aziendale familiare in agribirrificio. Questo giovane imprenditore, laurea in ingegneria ma passione vera per la campagna, nel 2010, a fronte di un difficile momento vissuto dalla azienda dei nonni, ha pensato che “le bollicine” fossero un buon modo per raccogliere l’eredità contadina, sostenuto anche dal decreto ministeriale. «Dall’iniziale proposito alla prima produzione passò un anno», racconta. Si cominciò quindi nel 2011 con 35 mila litri: erano volumi piccoli, generati nel laboratorio allora nei pressi dell’abbazia di Morimondo, vicino all’azienda di famiglia, limitati a soddisfare il brewpub aperto a pranzo e cena. Da quell’attività originaria si è passati quest’anno, dopo la vendita del locale, al trasferimento definitivo nella campagna abbiatense e alla nascita del nuovo impianto per soddisfare le aumentate richieste.

BIRRA PROPRIA AL 100% – L’orzo distico, una qualità italiana, è il prodotto agricolo principale ed è coltivato in regime di rotazione sui campi di proprietà, una ventina di ettari di cui 7/8 destinati all’uso birricolo. L’elevata percentuale di materia prima propria è sempre stata elevata tanto che, segnala Ghidoni, «per la birra bionda sfioriamo il 100%. In ogni caso abbiamo deciso di apporre sui nostri prodotti il marchio di birra agricola italiana, e apparteniamo ai birrifici agricoli aderenti al marchio “Birragricola” per chi usa una quota superiore al 70% di materia prima prodotta in proprio».

Birra italiana, km zero

La bionda birra italiana prodotta a km0 da “La Morosina”

Il marchio è stato creato dal COBI, Consorzio Italiano di Produttori dell’Orzo e della Birra, l’unico a livello nazionale – afferma lo stesso – a riunire gli agricoltori che, oltre ad essere coltivatori di orzo, sono contemporaneamente produttori di birra “artigianale”.

Ma anche i luppoli, ben cinque tipi, vengono coltivati su questi campi, posti a pochi chilometri dal Ticino, mediante la pratica della lotta integrata, che prevede una riduzione drastica dei fitofarmaci. La stessa attenzione è prestata alla coltivazione degli ortaggi, partita proprio quest’anno.

QUALITÀ PREMIATA – La Morosina negli anni ha ottenuto un riscontro sempre più alto dal pubblico e anche dalla critica. Quest’anno ha ottenuto la medaglia d’oro per la sua “bionda” e la medaglia di bronzo per la rossa e la weiss al Merano Wine Festival, fiera internazionale dedicata al vino e alle eccellenze culinarie. «Si tratta di un riconoscimento importante: si tratta, infatti, di uno degli appuntamenti più importanti nel mondo del vino, molto appetito dalle aziende per il prestigio che ha, a livello nazionale e internazionale». L’anno scorso La Morosina fu premiata al Vinitaly da una rivista di settore. «I premi fanno piacere, ma il nostro principale stimolo deve essere il mercato, i consumatori». In questo caso parlano i dati di produzione, passata nel 2015 a 80 mila litri, cifra destinata a raggiungere quest’anno quota 120-150 mila. »Non solo: la “birra natalizia”, nostro prodotto stagionale, già oggi è stata venduta praticamente tutta», ammette con orgoglio il titolare.

Ma l’aumento della quantità non intende pregiudicare la qualità e l’attenzione in tutti i passaggi. «Le caratteristiche vincenti alla base delle nostre birre sono legate non tanto a segreti o a “effetti speciali” come aromatizzazioni speciali o altro, bensì alla qualità degli ingredienti. Per esempio, possiamo contare su un grande valore aggiunto dato dall’acqua, di cui la birra è fatta al 95% circa, che attingiamo dal nostro pozzo».

Per curare i processi di lavorazione e produzione birricola l’azienda conta da quest’anno anche sul contributo di un esperto, Jens Berthelsen, biochimico e professore associato presso l’università danese di Copenhagen che insieme a un team di ricerca si era occupato per un colosso mondiale del settore di studiare e selezionare le materie prime e il malto».

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